Chernobyl, 36 anni dopo il disastro: perché la centrale nucleare fa ancora paura

Chernobyl, 36 anni dopo il disastro: perché la centrale nucleare fa ancora paura
Martedì 26 Aprile 2022, 10:25 - Ultimo agg. 13:35
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«Non possiamo sapere cosa c'è nella testa dei russi. Non potevamo aspettarci che si impadronissero delle centrali nucleari. E fino a quando a Mosca non cambierà il sistema, la nostra regione sarà sempre in pericolo. Siamo ancora sotto la minaccia dell'invasore». È l'allarme che Yurii Fomichev, sindaco di Slavutych, la città satellite di Chernobyl, lancia in occasione del 36mo anniversario della catastrofe nell'ex centrale nucleare, e della prima visita del capo dell'Aiea, Rafael Grossi, dopo l'invasione. Le forze russe hanno lasciato l'impianto a fine marzo, lasciando molte preoccupazioni sulla sicurezza e portandosi via materiale radioattivo, computer, e alcuni lavoratori dell'impianto. Durante l'occupazione russa, raccontano al municipio di Slavutych, la centrale è stata lasciata per 6 giorni senza corrente elettrica e i tecnici costretti a lavorare «anche 600 ore di fila» senza turnazione. «La situazione era molto pericolosa. Questo è terrorismo nucleare», sentenzia Tatyana Boyko, consigliera per i media del primo cittadino.

Slavutich fu costruita subito dopo il disastro per accogliere gli abitanti di Pripyat, vicina alla centrale, da allora diventata una città fantasma. La nuova città satellite cominciò ad ospitare le persone e i lavoratori evacuati dal 1988. La zona è radioattiva ancora oggi. Foresta rossa, si chiama. E qui il 24 febbraio sono arrivati i russi. Hanno scavato trincee nella terra radioattiva. Ed hanno preso la centrale dove il reattore 4 dorme sotto un sarcofago di cemento armato. Chernobyl è tornata a far paura. A marzo - sotto il controllo russo - si è interrotta l’energia elettrica in una vasca di raffreddamento dove c’erano barre di combustibile nucleare esaurite molto radioattive. Alla fine l’allarme è rientrato.

E il 31 marzo i russi si sono ritirati. «Ma siamo sempre sotto la loro minaccia» ha detto Fomichev, sindaco di Slavutich.

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L'esplosione del 1986

Sono passati 36 anni da quella notte del 26 aprile 1986. Gli ingegneri della centrale eseguirono un test di sicurezza presso il reattore n. 4 dell'impianto. Qualcosa andò storto. In pochi secondi, l'energia dentro il nucleo di uranio e grafite del reattore si riscaldò in modo incontrollato, provocando un'esplosione di vapore e un incendio che vomitarono nell’atmosfera una quantità mostruosa di particelle radioattive – secondo gli scienziati, superiore di 400 volte alla bomba di Hiroshima. In vaste aeree attorno alla centrale la contaminazione fu catastrofica. I venti poi trasportarono le particelle velenose attraverso la regione toccando anche l’Europa occidentale. La nube radioattiva raggiunse in pochi giorni Finlandia e Scandinavia; poi, con livelli di pericolosità più bassi, anche Francia, Svizzera, Italia, Germania, Austria e infine i Balcani.

 

I casi di tumore alla tiroide

Due tecnici della centrale morirono all’istante (un terzo più tardi di trombosi). Di circa un migliaio di pompieri e aiutanti che accorsero per spengere le fiamme, 134 ebbero la sindrome da radiazione acuta. Ne morirono 28, tra atroci sofferenze, nel primo mese e 19 negli anni a venire. Il loro coraggio però non bastò a interrompere l’emissione radioattiva. Allora volarono elicotteri militari che coprirono con sabbia e boro il nocciolo del reattore. Fu ordinata comunque l’evacuazione di circa 300mila persone, da Chernobyl, da Pripjat (la città più vicina alla centrale) e da altre cittadine e villaggi. Il totale delle vittime resta sconosciuto. Tra i civili coinvolti dal fallout radioattivo (intorno ai 600mila), circa 4mila si sono ammalati di cancro alla tiroide, numero che poi -secondo alcune stime – potrebbe essere salito a 20mila.

Quella che le autorità sovietiche avevano presentato come la soluzione definitiva per intrappolare le radiazioni di Chernobyl, la costruzione di un enorme sarcofago di cemento sui resti del reattore No 4, era stata considerata subito un errore da molti ingegneri e anche da Leonid Lvov, il liquidatore che venne incaricato di progettare la struttura di contenimento e che ora dice a Bellona News che «la decisione del sarcofago è stata un fiasco. Non hanno ascoltato quelli di noi che volevano qualcosa di più permanente. Volevano dimostrare che era stato fatto qualcosa di grosso, anche se probabilmente non avrebbe funzionato. Era solo una questione di tempo prima che il cemento si riscaldasse, collassasse e subisse crolli, ed entro il 2005 è successo».

Il reattore 4

Nel 2010 è iniziata la costruzione di una barriera di acciaio mobile da 30.000 tonnellate, chiamata New safe confinement, per ricoprire il reattore 4: una struttura finanziata con 1,5 miliardi di dollari di donazioni provenienti da più di 40 governi gestite dalla Banca europea per la ricostruzione e lo sviluppo. Il suo completamento, rimandato più volte  per ritardi e mancanza di fondi, è previsto per il novembre 2.017, ma mancano ancora 100 milioni di finanziamento e nessuno sa come e dove verrà stoccato il carburante radioattivo del reattore e chi se ne assumerà i costi, così come nessuno sa chi pagherà la costosa manutenzione del New safe confinement.

Anche quando  la centrale nucleare verrà ricoperta dal nuovo sarcofago, la zona di esclusione di circa 2.600 kmq resterà “inabitabile”, anche se al suo interno vivono gruppi di disperati, insieme alla fauna selvatica – alci, cervi, cinghiali, cavalli, volpi, lupi – che domina le strade delle città abbandonate dall’uomo, inconsapevole delle radiazioni che la follia umana ha sparso 30 anni fa, avvelenando terra, acqua, aria uomini e animali.

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