Coronavirus, il caso Svezia: ristoranti e piste da sci aperti. Ma l'approccio soft non eviterà la recessione

Coronavirus, follia in Svezia: ristoranti e piste da sci aperti. Ma l'approccio soft non eviterà la recessione
Coronavirus, follia in Svezia: ristoranti e piste da sci aperti. Ma l'approccio soft non eviterà la recessione
di Filippo Bernardi
Martedì 31 Marzo 2020, 16:14 - Ultimo agg. 1 Aprile, 07:44
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Piste da sci aperte, ristoranti pieni e una certa rilassata voglia di godersi la bella stagione. Benvenuti in Svezia, l'unico Paese occidentale a non aver preso ancora alcuna drastica misura contro l'epidemia di Coronavirus, preferendo lasciare ai suoi cittadini la responsabilità personale di contrastare il contagio. Dagli uffici alle palestre, le serrande restano ovunque alzate: un approccio che potrebbe portare a una drammatica escalation dei casi. Eppure gli svedesi non sembrano affatto preoccupati.

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La strategia è la stessa che in un primo momento avevano adottato Olanda e Regno Unito: cercare di contenere il virus senza disporre il lockdown e lasciando che si propaghi lentamente consentendo di raggiungere la cosiddetta immunità di gregge senza mettere in crisi il sistema sanitario. Come sappiamo, sia Olanda che Gran Bretagna hanno presto fatto dietrofront, convinti dalle stime di crescita esponenziale dei contagi che rischiavano di portare a centinaia di migliaia di morti. La Svezia no.
 

 

La cosa che stupisce è che gran parte degli svedesi è d'accordo con questo approccio soft: secondo un recente sondaggio condotto da Novus e citato in un lungo articolo sul Wall Street Journal, l'80% è con il premier Stefan Löfven che in un discorso al Paese si è appellato alla responsabilità personale dei singoli cittadini per battere il Covid-19. Il governo non ha imposto alcuna restrizione, limitandosi a delle raccomandazioni come evitare assembramenti di oltre 50 persone. I più anziani sono invitati all'autoisolamento, mentre i ristoranti servono solo i clienti seduti. Ai più giovani è stato chiesto di limitare gli spostamenti. Lo sport è bloccato ma la Svezia è l'unico paese europeo in cui proseguono le corse dei cavalli. È attivo come sempre l'ippodromo di Solvalla, a Stoccolma, e anche oggi si gareggia in quello di Jägersro, a Malmö. 



Per il momento il paese scandinavo registra numeri meno allarmanti del resto d'Europa: per circa 10 milioni di abitanti si contano finora 4.435 positivi e 180 morti. Ma secondo gli esperti le prossime due settimane saranno decisive e nel caso l'approccio dovesse rivelarsi sbagliato probabilmente sarebbe troppo tardi per correre ai ripari. Qualche timore, forse, sta cominciando a insinuarsi nel governo, visto che nel polo fieristico di Stoccolma è in costruzione un ospedale d'emergenza sul modello di quello di Fiera Milano e oggi è stato annunciato il divieto di fare visita a parenti ospitati in case di riposo.



Quel che sembra certo, per ora, è che la strada scelta dalla Svezia non servirà comunque a tenere al sicuro i suoi conti. La strategia "business as usual", insomma, non sembra funzionare. La situazione è «molto grave», ha detto il ministro delle Finanze Magdalena Andersson, spiegando che l'emergenza globale ha portato ad uno «choc combinato di forniture e domanda, con effetti a catena tra i vari Paesi». Il prodotto interno lordo svedese, ha detto la Andersson nel corso di una conferenza stampa, nel 2020 calerà del 4 per cento, ai livelli della crisi finanziaria del 2008. «La fase di recupero richiederà diversi anni», ha aggiunto, mentre la disoccupazione in Svezia potrebbe salire al 9 per cento.

Si tratta, ha spiegato il ministro delle Finanze, di proiezioni incerte, che però si basano sulle modalità con le quali l'economia ha reagito di fronte alle crisi del passato. L'incertezza, ha detto, è anche dovuta alle diverse misure messe in campo dai vari Paesi per contenere il contagio e sostenere le rispettive economie. Secondo i dati aggiornati al 29 marzo, 36.800 lavoratori svedesi hanno già ricevuto lettere di licenziamento a causa della crisi Il recedente record era di 22.000 licenziamenti registrati nel novembre 1992. Tra i settori più colpiti dall'emergenza coronavirus ci sono quello alberghiero, della ristorazione e del commercio, che spesso impiegano giovani o persone con contratti a termine.

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