Virus, velisti italiani bloccati in lockdown ai Caraibi: paura per gli uragani

Virus, velisti italiani bloccati in lockdown ai Caraibi: paura per gli uragani
Virus, velisti italiani bloccati in lockdown ai Caraibi: paura per gli uragani
di Stefania Piras
Domenica 10 Maggio 2020, 13:49 - Ultimo agg. 22:28
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Coronavirus «Mancano meno di trenta giorni alla stagione degli uragani, dobbiamo trovare il modo di spostarci a sud: quando e se apriranno i porti e gli aeroporti, lasceremo la barca in cantiere e poi prenderemo l'aereo per tornare in Italia». Porti chiusi, e non siamo al largo di Lampedusa, bensì in Martinica dove 800 velisti, tra cui decine di italiani, stanno cercando di capire da giorni se i governi delle isole di Trinidad Tobago e Grenada, raggiungibili con meno di tre giorni di navigazione, apriranno i porti per far attraccare le barche dove vivono con altrettante famiglie e congiunti (si possono chiamare così anche persone che hanno deciso di fare un tratto di oceano insieme).

A raccontare questa storia sono Giada e Gianluca, 36 e 40 anni, partiti da Fuerteventura (Canarie) e approdati in Martinica dopo 24 giorni di navigazione. Sono due giovani di Treviso e Milano che si sono presi un anno sabbatico per fare la traversata dell'Atlantico a bordo di Marianne,
«che è una barca a vela del 1990, un Grand Soleil 343, dei cantieri italiani Del Pardo, uno sloop di 10,4 metri e larga 3,4 metri», dice lo skipper, Gianluca. Sono partiti a luglio da Venezia e fino a novembre hanno macinato 3mila miglia nel Mediterraneo, poi dalla Canarie altre 3mila miglia in 24 giorni per arrivare ai Caraibi.

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Velocità massima toccata: 12,6 nodi. Highlight: il giorno in cui, issando lo spinnaker, hanno fatto 160 miglia tutte in una volta (è come fare 300 km, come da Roma a Bologna). Momenti più emozionanti: quando si è rotto l'autopilota dopo 4 giorni e c'era solo il timone a barra, la sfida con le onde
«che ti fanno planare e rimani in bilico sulla cresta», i delfini a un passo che surfavano sulle onde, la luna crescente: «era un faro e illuminava il mare come fosse giorno», si legge nel lungo post dedicato alla traversata sul loro blog (www.svmarianne.it).

Tutto bello, bellissimo. Ma hanno beccato anche l'anno della pandemia. La quarantena li ha sorpresi in Martinica, rientrati dopo un giro nelle isole del nord del Caribe. I programmi erano questi: a marzo ospitare la mamma di Gianluca ai Caraibi, aveva il volo il 9 marzo ma quel giorno Milano è diventata zona rossa, poi dovevano andare a Cartagena in Colombia e poi ancora a San Blas. Da lì, infine il ritorno in Italia da Panama. E invece: lockdown, che in Martinica è scoppiato il 16 marzo.

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«Eravamo preparati dopo tutto quello che abbiamo letto in Italia», racconta Giada. «I momenti più brutti sono stati quando leggevamo e venivamo a conoscenza delle notizie sul Nord Italia grazie ai giornali e ai famigliari. Paradossalmente ci siamo tranquillizzati quando siamo entrati in lockdown anche noi perché ci siamo detti “Ora siamo davvero sulla stessa barca”», continua. E com'è stare in quarantena ai Caraibi? «Siamo isolati come tutti ma in più è venuta a mancare l’essenza della nostra avventura: il viaggio, gli spostamenti che sono vitali anche per mantenere in buono stato la barca».
 

 


Anche qui a una determinata ora della giornata c'è un applauso per medici e infermieri. E ci sono degli appuntamenti fissi. «Ogni sera alle otto c'è un velista italiano, un professore del Teatro Regio Torino, che fa un concerto con il sax. Lo sentiamo in Vhf, un walkie talkie sintonizzato nello stesso canale con gli altri velisti e che a giorni alterni trasmette anche notizie e informazioni utili delle autorità– raccontano – Quello è il nostro picco di socialità. Lo ringraziamo sempre tutti nello stesso identico ordine e Giorgio risponde solo “Grazie, merci, thank you everybody, e ora la parola a Veronique” che è una velista francese che racconta favole per i bambini. Quando finisce lei, si sentono tutti i bambini chiusi nelle barche ringraziare e magari qualcuno fa notare a Veronique con disappunto che lui, quella fiaba, la conosceva già».


L'età media dei diportisti è alta: tra gli italiani, molti sono pensionati che dopo aver lavorato una vita si concedono l'avventura della barca.
«Abbiamo incontrato una coppia di Brescia, partiti a gennaio che avevano programmato di tornare a maggio in Italia. Ci sono 4 studenti di ingegneria partiti l'anno scorso dalla Francia, poi in Senegal e qui ai Caraibi per studiare l'energia rinnovabile. Ci sono tantissimi scandinavi, austriaci, tedeschi, belgi e francesi. E sono tante le famiglie».

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«Potrebbe essere una quarantena privilegiata, se non fosse che da giugno inizia ufficialmente la stagione degli uragani», ricorda Giada. Ora sono nella baia di Sainte Anne, paesino della Martinica di 4 mila abitanti, dove ci sono centinaia e centinaia di barche ferme, all'ancora. Molte sono di europei che pensavano di venirle a prendere per veleggiare ora. E chi è a bordo invece aspetta la fine della quarantena o gli uragani. Chi farà prima?
Il paesino vive essenzialmente di turismo e il picco c'è a febbraio e marzo.
Molti francesi vengono qui con i figli piccoli a svernare. E non sono più andati via.
«La Martinica è stata molto accogliente. É Europa e questo è già molto rassicurante per un viaggiatore europeo, quando chiediamo informazioni ci rispondono “Qui é Francia», fanno notare Giada e Gianluca. La quarantena è stata presa molto sul serio: c'è il coprifuoco nella terra ferma e puoi uscire una volta solo alla settimana per fare la spesa 30 minuti, non si può fare il bagno se non attorno alla barca.

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Prima di rientrare in Italia però è fondamentale mettere in salvo la casa, ovvero la barca. Qui il procedimento è complicato. Si deve comunque raggiungere uno spazio fuori dalla Hurricane belt, la cinta dove imperversano gli uragani, e se aprono le frontiere contattare un boatyard che possa custodirla in un cantiere se c'è posto.
C'è chi la incastra in mezzo alle mangrovie: il rifugio naturale migliore per le barche. O ci sarebbero gli hurricane hole, insenature naturali che proteggono le barche. Ma in Martinica non ci sono.

Gli uragani. Esistono delle applicazioni meteo molto precise in grado di avvertire che sta per arrivare un uragano anche dieci giorni prima. Sebbene la stagione inizi a giugno, secondo le statistiche si scatenano soprattutto ad agosto e settembre. Negli ultimi 20 anni ci sono pochissimi episodi di uragani in Martinica, ma siamo comunque all'interno dell'Hurricane belt e soprattutto una mole così elevata di barche vicine rende tutto molto pericoloso. Bisogna andare a sud.
«Se c'è una cosa che la vela ti insegna è che anche se non conosci l'evento che arriva devi essere preparato ad affrontarlo. Diciamo che non puoi solo sperare che le cose vadano per il meglio, devi fare tutto comunque e sempre al meglio perché le cose vadano davvero per il meglio e quindi: essere preparati, un nodo, le scorte di acqua, cambusa rifornita, vele e motore perfetti e pronti per la partenza».
 
 


A Trinidad sono intransigenti poiché ritengono che gli unici casi di Covid-19 siano stati importati a marzo e sono ad oggi solo 116 di cui 8 morti. Inoltre, notizia di ieri è l'autorizzazione a far entrare solo 33 cittadini di Trinidad provenienti dalle Barbados, al momento ancora no i diportisti, ma c'è una delegazione che sta trattando. Se le frontiere di Trinidad rimarranno chiuse si può rifare la traversata dell'Atlantico al contrario verso l'Europa oppure muovere comunque verso sud: oltre le 12 miglia non si deve fare dogana, e «galleggiare aspettare insieme ad altre 800 imbarcazioni, letteralmente, che passi la tempesta». E quindi vorrà dire: avere le vele pronte.

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