«Una risposta» alla lenzuolata di dazi di Donald Trump «ci sarà» e «arriverà al momento opportuno». Probabilmente in due tempi, senza fughe in avanti e in stretto coordinamento con i governi dei 27. Perché il principio-guida, a Bruxelles, rimane quello di colpire gli Stati Uniti in rivalsa lì dove può far più male, ma senza esporre a danni ulteriori le imprese europee. Né fornire assist per una pericolosa escalation a quella che viene considerata un’amministrazione fin troppo imprevedibile. La reazione Ue alle nuove tariffe doganali, insomma, deve essere «equilibrata e bilanciata», è il mantra ripetuto in questi giorni dalle diplomazie: i contro-dazi devono essere proporzionali alle imposte applicate dagli Stati Uniti, rispondendo chirurgicamente colpo su colpo, e non devono rendere vulnerabili specifici Paesi o determinati settori economici (basti pensare alla linea della cautela prevalsa, su pressing italo-francese, sul whisky, con l’obiettivo di evitare vendette su vino e champagne). Accanto alla risposta per le rime, secondo fonti a conoscenza del dossier citate da Bloomberg, Bruxelles starebbe pure predisponendo dei piani d’emergenza per fornire uno scudo alle industrie maggiormente colpite dai dazi di Trump, da affiancare al lavoro già in corso sulla sburocratizzazione e sulla riforma del mercato unico. Ma come funzionerà in concreto la rappresaglia ormai ampiamente anticipata da Bruxelles? Prima bisognerà studiare il perimetro di cosa sarà stato incluso nella lista trumpiana, proprio per bilanciare bene la reazione. E prendere tempo, magari sperando in qualche selettivo ripensamento come accaduto all’inizio dello scontro con Messico e Canada.
LA STRATEGIA
I ministri del Commercio, lunedì in Lussemburgo, avranno un primo confronto (anticipato, oggi, da un bilaterale brussellese tra il commissario al ramo Maroš Šefčovič e il vicepremier Antonio Tajani). Ma qualche elemento in più sul calendario è arrivato da Parigi: «Ci saranno due risposte. La prima, a metà aprile», come previsto, «ai dazi Usa già decisi su acciaio, alluminio» e derivati, per un valore complessivo di circa 26 miliardi di euro. La data cerchiata in calendario è il 13 aprile: si tratta, anzitutto, della riattivazione dei contro-dazi del 2018 messi in pausa tre anni dopo grazie alla tregua siglata con Joe Biden (tra cui rientrano quelli iconici sull’import di yacht e Harley-Davidson), e poi dell’adozione di una nuova e sostanziosa lista che dovrebbe includere, ad esempio, la soia e il legno, nell’ottica di mettere alle strette le produzioni degli Stati a maggioranza repubblicana come Louisiana e Georgia, i cui membri del Congresso possono far pressione sulla Casa Bianca. In parallelo, ha chiarito una portavoce del governo francese, «sarà svolta un’analisi dettagliata, settore per settore, e una decisione Ue sarà annunciata prima della fine di aprile». Quando, cioè, a Berlino dovrebbe esserci un governo, quello di Friedrich Merz, nel pieno delle sue funzioni. Le capitali, ha ricordato ancora Parigi, sono consapevoli che gli Usa «cercheranno di dividerci e di trovare punti di divergenza». La politica commerciale è, però, tra le (poche) competenze esclusive dell’Ue: una volta approvati i contro-dazi, insomma, tutti i 27 sono vincolati, anche quelli in eventuale disaccordo. Per incassare il sì alle contromisure, la procedura è piuttosto favorevole alla Commissione: la proposta si considera approvata se non è bocciata da una maggioranza qualificata di Stati (15 almeno, in rappresentanza di minimo il 65% della popolazione).
L’OPZIONE
C’è, però, un’altra opzione a cui la Commissione potrebbe far ricorso, pur pesandone i (molti) rischi. Si tratta dell’attivazione (stavolta serve la maggioranza qualificata per il via libera), per la prima volta in assoluto, dello strumento anti-coercizione, un regolamento del 2023 pensato per dotare l’Ue della capacità di affrontare le offensive commerciali realizzate da quei Paesi che usano la leva degli scambi nel tentativo di esercitare pressioni politiche. Il caso emblematico all’origine dello schema fu la limitazione degli scambi tra Cina e Lituania dopo che la piccola repubblica baltica aveva deciso di rafforzare i propri legami con Taiwan (che Pechino considera come parte del proprio territorio). Il principio dietro lo strumento anti-coercizione è la deterrenza, perché la reazione sarebbe imponente. Oltre ai contro-dazi, consentirebbe di limitare la partecipazione delle aziende Usa alle gare d’appalto nell’Ue, gli investimenti americani e pure i diritti di proprietà intellettuale, il che vorrebbe dire prendere di mira i servizi (dove Washington gode di un forte vantaggio) e le Big Tech tanto care al tycoon-presidente. Insomma, la ricetta per andare verso una escalation perfetta, ragionano le diplomazie più prudenti. Determinate (per ora) a evitare lo scontro frontale.