Attentato in Iraq, incursori un’élite anti-terrore: i 350 uomini non rientreranno

Attentato in Iraq, incursori un élite anti-terrore: i 350 uomini non rientreranno
​Attentato in Iraq, incursori un’élite anti-terrore: i 350 uomini non rientreranno
di Marco Ventura
Lunedì 11 Novembre 2019, 00:15
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Col Moschin e Comsubin sono l’élite delle nostre forze speciali, uomini di straordinaria professionalità, disciplina e valori, con una grande attenzione alla cultura e ai costumi locali che fa la differenza tra i nostri specialisti e tutti gli altri contingenti nazionali impiegati nella missione internazionale contro Daesh, o Isis. Si tratta, in pratica, degli “incursori” dell’esercito e della Marina, particolarmente ferrati nell’addestramento che è il compito per il quale sono assai richiesti dagli americani e dagli alleati della Nato. I pericoli sono sempre in agguato, come spiega l’ex comandante della Folgore e del contingente italiano in Afghanistan, e capo delle nostre forze speciali, il generale Marco Bertolini: «Quanto è successo è il rischio che corre chi opera sul campo, l’addestramento non si fa nelle caserme ma sul terreno. E non c’è alcuna contromisura che possa garantire una sicurezza assoluta».

TRAPPOLE
Tanto più contro gli Improvised explosive device, i cosiddetti IED, gli ordigni esplosivi improvvisati. I nostri militari che operano in Medio Oriente sono preparati, «sanno quello che fanno e lo fanno con passione, ma non si può sempre rimanere protetti sotto uno scafandro blindato. Imparano a fare trincee, capisaldi, rastrellamenti in zone abitate, combattere, i trasferimenti si fanno con i mezzi». Ma niente può garantire dall’attentato che ti colpisce a tradimento. Forse quando meno te lo aspetti e la missione è conclusa, come è successo ieri ai nostri cinque militari che assistevano le unità speciali dei peshmerga, i miliziani curdi impegnati in prima linea contro l’Isis. Gli IED, spiega ancora il generale Bertolini, sono «trappole micidiali, per realizzarli si usano granate, mine antiuomo, fertilizzanti… e possono essere innescati in vari modi: a pressione, a strappo, con un filo a comando elettrico o radiocomandato. Non esiste una contromisura che garantista la sicurezza totale». 

COOPERAZIONE
I cinque militari rimasti feriti ieri erano inquadrati nella coalizione multinazionale creata dagli Stati Uniti contro lo Stato Islamico in Siria e Iraq, “Inherent Resolve”, cui partecipano 79 Paesi e 5 organizzazioni internazionali. L’Italia ha aderito a partire dal 14 ottobre 2014, con una previsione di massimo 1100 uomini, 305 mezzi terrestri e 12 mezzi aerei inquadrati nell’operazione “Prima Parthica”. Tra Erbil, nel Kurdistan iracheno, e Baghdad, i nostri uomini si focalizzano sull’addestramento delle forze di sicurezza curde e irachene, e assicurano la ricognizione aerea con i droni e l’attività di rifornimento carburante in volo ai velivoli alleati. A Erbil opera l’esercito nel contesto del “Kurdistan Training Coordination Center”, sotto il comando per sei mesi dell’Italia e altri sei della Germania. A Baghdad e Kirkuk, dove c’è stato l’attentato, operano invece le nostre forze speciali con un compito di addestramento nel Servizio di contro-terrorismo iracheno e nell’assistenza alle forze speciali curde (la missione sotto attacco ieri). 

I NUMERI
Al momento, in totale, sono impiegati 350 nostri militari, di cui 120 istruttori, considerati i migliori al mondo. A Erbil sono schierati 4 elicotteri da trasporto Nh90, e in Kuwait i Boeing Kc 767 A, gli Eurofighters e i Predator. Il tutto sotto l’ombrello legale di due risoluzioni ONU del 2014. Quanto al Reggimento d’assalto Col Moschin e al Gruppo operativo degli incursori di Marina Comsubin, si tratta di unità altamente specializzate, e forgiate da una preparazione impegnativa e selettiva. Non si parla di ritiro dall’Iraq al momento (già c’è stata la conclusione della missione a difesa di una Diga vicino a Mosul), mentre oltre un centinaio di militari sono già rientrati dalla missione in Afghanistan. Ovviamente, la politica di graduale ritiro dei militari americani dal Medio Oriente favorisce un’analoga politica di disimpegno europeo (e italiano) dall’area, per quanto paradossalmente gli USA insistano per un maggiore coinvolgimento dei Paesi UE. 
 

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