Libia, la via per la stabilità passa per il summit di Berlino

Libia, la via per la stabilità passa per il summit di Berlino
di Marco Conti
Domenica 12 Gennaio 2020, 08:36
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Stavolta tutto si muove come un orologio. Il premier libico Al Serraj si intrattiene a Roma con il presidente del Consiglio Giuseppe Conte per oltre tre ore. Insieme si presentano davanti alle telecamere e insieme dicono sì al cessate il fuoco e alla Conferenza di Berlino. Quasi in contemporanea Angela Merkel vola a Mosca per incontrare Vladimir Putin e tutte e due dicono che le armi devono smettere e che è opportuno ritrovarsi al più presto nella capitale tedesca per discutere di Libia, sotto l'egida delle Nazioni Unite, con «tutte le parti coinvolte».

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LA SPONDA
Poiché dei tanti protagonisti dello scenario libico mancano all'appello - tra i principali - Francia e Turchia, Conte parla al telefono con il presidente francese Macron (dal quale ottiene eguale impegno per il cessate il fuoco e per arrivare a Berlino), e domani volerà in Turchia per incontrare il presidente Erdogan. E proprio in Turchia ieri sera, dopo aver fatto tappa a Roma, si è recato il premier libico Al Serraj che continua a tenersi molto stretto il suo rapporto con Ankara.
Il presepe diplomatico sembra comporsi anche se sino a sera manca ancora il generale Haftar che continua il suo assedio a Tripoli. Poco prima delle undici di sera l'annuncio di Haftar che accetta il cessate il fuoco anche perché i contractors russi della Wagner - alleati di Haftar - hanno mollato la prima linea per rientare a Jufra. Per l'Italia era importantissimo riuscire a ricomporre rapidamente con Serraj dopo il malinteso di mercoledì scorso causato dalla visita a palazzo Chigi di Haftar messa in agenda prima dell'arrivo di Serraj che poi non si è presentato. Ciò è avvenuto anche grazie al lavoro fatto in questi giorni dall'Aise di Luciano Carta, alla mediazione diplomatica dell'ambasciatore italiano a Tripoli Giuseppe Buccino Grimaldi e alla sponda offerta dal ministro degli Esteri Mohammed Siala, e dal vice-presidente libico Ahmed Maitig, da sempre molto molto vicini a Roma.
Obiettivo del governo era quello di rassicurare Serraj che non abbiamo cambiato linea in Libia. Conte ha ricordato a Serraj che l'Italia ha «sempre lavorato per una soluzione politica, per contrastare l'opzione militare, ritenendo quella politica l'unica prospettiva che possa garantire al popolo libico benessere e prosperità. Non abbiamo altri obiettivi, non abbiamo agende nascoste». Un riferimento, nemmeno particolarmente velato, ai molti Paesi che sul dossier libico tengono i piedi in più staffe.
 

 


IL VENTO
Un fitto intreccio di incontri e telefonate che spinto i due contendenti verso il cessate il fuoco e l'organizzazione della Conferenza di Berlino che la stessa Cancelliera Merkel definisce solo come «preludio ad un processo più lungo». Conte domani volerà ad Ankara e poi al Cairo. Incontrando Erdogan e al Sisi- che sono schierati su fronti opposti - l'Italia conferma la volontà di mantenersi equidistante. Con il ministro degli Esteri Luigi Di Maio - che oggi sarà a Tunisi - palazzo Chigi spinge per l'avvio di una fase negoziale anche se non si capisce con quali margini e, soprattutto, con quali argomenti ci siederemo al tavolo. Eppure a Misurata abbiamo 300 soldati e vorremmo anche rilanciare la missione Sophia. Dopo aver trattato per mesi la politica estera come una faccenda di sbarchi e migranti, l'attuale governo sembra essersi svegliato e ha rimesso in moto tutti i suoi canali. Malgrado qualche errore, anche se ben oltre il protocollo, l'attivismo è evidente, ma non si comprende la direzione. A fatica, e solo ieri, si è riaperto il dialogo diretto con la Francia - altro Paese che rischia l'emarginazione dallo scenario libico - ma non si comprende il ruolo che avrà l'Italia nella Conferenza di Berlino e nei passaggi successivi. Palazzo Chigi continua a puntare sull'Europa, ma il problema del format che dovrà avere la Conferenza di Berlino non è marginale e segnerà anche i passaggi successivi. Solo pochi mesi fa immaginare che il boccino della crisi libica sarebbe finito ad Ankara e Mosca e - soprattutto che Washington lo avrebbe permesso - sarebbe stato impossibile.
Ed invece - malgrado la Russia sia sotto le sanzioni volute dal Congresso americano ed Erdogan un bizzoso alleato Nato - è proprio ciò che è avvenuto. Muoversi contando su schemi e alleanze da guerra fredda non funziona più. Specie ora che la prima preoccupazione degli Usa non è Mosca, ma Pechino.

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