Congo, ambasciatore e carabiniere uccisi: la strada era stata dichiarata sicura

Attacco in Congo, il giallo della scorta. Le autorità: «Non sapevamo che Attanasio fosse lì»
Attacco in Congo, il giallo della scorta. Le autorità: «Non sapevamo che Attanasio fosse lì»
Lunedì 22 Febbraio 2021, 18:48 - Ultimo agg. 19:00
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Emergono i primi dettagli dell'attacco al convoglio Onu in Congo, dove oggi hanno perso la vita l'ambasciatore italiano Luca Attanasio e il carabiniere della scorta Vittorio Iacovacci. Alcune fonti parlano infatti di un possibile «riscatto» e di un successivo «scontro a fuoco» tra ranger ed esercito regolare contro un commando di uomini non ben identificato. Secondo l'Adnkronos - che cita fonti di intelligence - al convoglio avrebbe dovuto unirsi anche l'addetto consolare Alfredo Russo, che però è rimasto a Goma per dei motivi sconosciuti. Giallo anche sulla scorta: «I servizi di sicurezza e le autorità provinciali non sono stati in grado di garantire misure di sicurezza specifiche per il convoglio, né di arrivare in loro aiuto», così una dichiarazione del Ministero dell'Interno, che ha dichiarato come le autorità provinciali del Nord-Kivu non fossero a conoscenza della presenza di personale diplomatico italiano nell'area. Secondo il World Food Programme (Wfp) la strada era stata comunque perlustrata in precedenza, ed era considerata sicura per essere attraversata anche «senza scorte di sicurezza».

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L'attacco

Secondo un portavoce del Virunga national Park, all'interno del quale si è verificato l'accaduto, il convoglio del Wfp sul quale viaggiava Attanasio è stato attaccato alle 10:15 a Kibumba, a pochi chilometri da Goma, il capoluogo del Nord Kivu, una zona definita dagli analisti «molto instabile» e dove sono operative oltre 100 milizie tra cui un gruppo affiliato all'Isis.

Sulle circostanze esatte dell'attacco rimangono ancora dei punti da chiarire. Il governatore locale, Carly Nzanzu Kasivita, ha affermato che il convoglio, diretto nel territorio di Rutshuru per ispezionare le attività condotte dal Wfp, è stato fermato da un commando di sei uomini armati che hanno sparato colpi di avvertimento. Successivamente hanno ucciso l'autista congolese e condotto il resto del convoglio nella foresta.

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Il giallo della scorta

Mambo Kawaya, presidente dei gruppi della società civile nella zona, ha spiegato ad Actualité - un sito di notizie locale - che c'erano cinque persone nel veicolo di Attanasio quando è stato attaccato. Il governatore, in una dichiarazione riportata dai media congolesi, ha dato credito all'ipotesi che l'obiettivo del commando fosse chiedere un «riscatto», precisando che sul posto si sono recati i ranger dell'Istituto congolese per la conservazione della natura, oltre ai soldati. «C'è stato uno scontro a fuoco», secondo Kasivita, e «gli aggressori hanno ucciso la guardia del corpo e l'ambasciatore». È giallo sulla scorta: uno dei nodi da sciogliere riguarda infatti il motivo per cui il convoglio si trovasse nella zona senza una scorta.

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Secondo fonti d'intelligence, infatti, il governo locale aveva autorizzato il movimento senza scorta del convoglio del Wfp. Anche l'agenzia dell'Onu in una nota ha dichiarato che «precedentemente era stato autorizzato il viaggio su quella strada senza una scorta di sicurezza». «La situazione è molto delicata. Si sta lavorando, si sta cercando di capire», fanno sapere dal World Food Programme. Questa versione dei fatti, però, non è stata confermata dalla polizia congolese.

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Il generale Abba Van, citato dall'agenzia tedesca Dpa, ha sostenuto che le forze di sicurezza non erano state informate della visita dell'ambasciatore nella zona e si detto «sorpreso» del fatto che il diplomatico si fosse recato nella regione senza una scorta nutrita. Sulla responsabilità dell'attacco la nostra intelligence al momento sembra privilegiare la pista che porta alle Forze democratiche per la liberazione del Ruanda (Fdlr-Foca), principale gruppo residuo di ribelli ruandesi di etnia Hutu. Ad avvalorare la tesi sono state le dichiarazioni del governatore del Nord Kivu, secondo cui uno dei sopravvissuti ha confermato che gli aggressori si sono parlati in kinyarwanda, lingua parlata in Ruanda e nei territori confinanti di Uganda e Repubblica democratica del Congo, e hanno parlato con gli ostaggi in swahili.

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