Coronavirus, Luis Sepúlveda contagiato: quando lo scrittore finisce in trincea

Coronavirus, Luis Sepúlveda contagiato: quando lo scrittore finisce in trincea
di Mario Ajello
Lunedì 2 Marzo 2020, 07:20 - Ultimo agg. 10:57
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Si dice sempre che la letteratura non teme il contagio. Anzi, se ne nutre. Lo racconta. Da Tucidide a Lucrezio.
Da Boccaccio a Manzoni, da Camus a Saramago. E lo combatte offrendo chiavi di lettura per resistere alla paura e facendo del morbo una metafora (si veda l'epidemia in Morte a Venezia come simbolo di decadenza) ad uso dei contemporanei e dei posteri. Ma quella accaduta a Luis Sepúlveda non è una metafora. È la malattia vera e propria. Il Coronavirus ha contagiato pure lui, la star della Storia di una gabbianella e del gatto che le insegnò a volare, best seller da cinque milioni e mezzo di copie con record in Italia dove ne ha vendute due milioni (per non dire del film). Le proporzioni della notizia di Sepúlveda ammalato sono queste. Anche i bimbi delle scuole elementari lo conoscono bene.

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Per restare tra gli scrittori latino-americani, Gabriel Garcia Márquez che scrive L'amore ai tempi del colera, il suo vero capolavoro, con quella o con altre malattie infettive non ha avuto mai a che vedere. Il vaiolo in Teresa Batista stanca di guerra non ha mai riguardato Jorge Amado. In Sepúlveda, ecco invece il paradosso dello scrittore contagiato, della letteratura abituata a narrare l'epidemia da lontano e tenendosi al sicuro (come nel Decamerone, come nei Promessi sposi che tratta della peste di due secoli prima) e che stavolta invece aggredisce direttamente uno dei suoi esponenti più celebrati, insieme alla moglie che è poetessa.
Ne ha viste tante lo scrittore cileno. Per esempio il golpe del 73, quando faceva parte del corpo di difesa personale del presidente Allende e poi il carcere, la condanna, la fuga, l'esilio. E parlando di sé, dice di essere sopravvissuto tante volte. Il Coronavirus non può che essere la sua nuova trincea. E che vinca il migliore, cioè lui. Che è un po' naive. Un po' onirico-buonista con quel surplus di politicamente corretto che può infastidire. Un po' mainstream. Un po' romantico e convinto che un vero ribelle conosce la paura ma sa vincerla. Questo motto letterario adesso diventa per Sepúlveda una prova esistenziale. E tutti fanno il tifo per lui. Nella speranza che il morbo dalla vita vera torni nella letteratura e che Sepúlveda scriva il primo grande romanzo sul mondo al tempo del Coronavirus.
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