Mahsa Amini «morta per malattia, non per le botte». La versione dei medici iraniani dopo l'autopsia

Secondo la versione ufficiale emanata dalle autorità Mahsa è svenuta e ha perso conoscenza

Mahsa Amini non è morta per le botte: la polizia dell'Iran insabbia l'omicidio della ragazza uccisa perché portava male il velo
Mahsa Amini non è morta per le botte: la polizia dell'Iran insabbia l'omicidio della ragazza uccisa perché portava male il velo
Venerdì 7 Ottobre 2022, 14:13 - Ultimo agg. 8 Ottobre, 14:23
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C'è un medico legale in Iran che dice che Mahsa Amini non è stata uccisa, non è morta a causa delle percosse e della violenza che la polizia morale le ha usato per punirla perché indossava male il velo islamico che deve coprire la testa e i capelli. Proprio questo l'Iran ha dato in pasto alla stampa: «La morte di Mahsa Amini non è stata causata da un colpo alla testa o ad altri organi vitali». Lo ha riferito l'agenzia di stampa Irna, citando un rapporto di un medico legale iraniano, secondo cui la 22enne è morta per sindrome da insufficienza multiorgano causata da ipossia cerebrale.

Non sono state le botte ad ucciderla, ma una malattia. La morte di Mahsa Amini sarebbe legata ad «un intervento chirurgico per un tumore al cervello subito all'età di 8 anni» e «non a percosse alla testa e agli organi vitali». A sostenerlo clamorosamente è il rapporto medico seguito all'autopsia effettuata a Teheran sul corpo della 22enne iraniana, arrestata dalla polizia morale perché non indossava correttamente il velo e deceduta dopo tre giorni nell'ospedale dove era arrivata dalla caserma già in coma.

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Il documento, pubblicato dalla Tv di Stato, arriva a tre settimane dalla morte della giovane che ha scatenato proteste in tutto il Paese duramente represse dalle forze dell'ordine. La versione ufficiale sulla morte di Mahsa è stata contestata sui social media da attivisti iraniani e arriva nel giorno in cui la madre di Nika Shakarami, un'adolescente morta dopo aver preso parte alle dimostrazioni, ha dichiarato a Radio Farda che la figlia è stata uccisa dalle forze di sicurezza e non ha perso la vita cadendo da un edificio, come aveva sostenuto invece la magistratura. La denuncia arriva a meno di 24 ore dalle dichiarazioni di Amnesty International e di altre organizzazioni che accusano la polizia iraniana di avere provocato la morte anche di un'altra adolescente, la 16enne Sarina Ismailzadeh, scomparsa il 24 settembre.

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Per la procura di Alborz, la ragazza si sarebbe «suicidata» lanciandosi dalla finestra di un edificio non lontano dalla casa delle nonna, mentre secondo le Ong la morte è stata provocata da «colpi di manganello alla testa».

Dal 16 settembre le dimostrazioni per Mahsa in Iran non si sono mai fermate e nei giorni scorsi sono state portate avanti soprattutto da universitari e studentesse di scuole superiori di varie città che hanno dimostrato togliendosi il velo. Si sono invece fatti più rari i raduni serali che avevano caratterizzato la protesta nelle prime settimane mentre alcuni attivisti hanno indetto per domani una giornata di mobilitazione a livello nazionale.

Ieri Amnesty International aveva denunciato la morte di almeno 82 persone, tra cui minori, durante duri scontri la scorsa settimana a Zahedan, nel sud est del Paese. Secondo la Ong, quello che è stato definito «il venerdì di sangue» ha rappresentato il giorno con il maggiore numero di vittime dall'inizio delle proteste, mentre secondo le autorità iraniane sono 19 le persone che hanno perso la vita a Zahedan. Per Amnesty il bilancio delle vittime in tutto il Paese dall'inizio delle dimostrazioni è arrivato ad almeno 134 persone. La gestione delle proteste da parte delle forze dell'ordine è stata duramente criticata dal mondo occidentale e oggi i vertici di forze armate e polizia in Iran hanno rinnovato il loro giuramento di fedeltà alla Guida suprema Ali Khamenei, che nei giorni scorsi aveva lodato l'operato della sicurezza durante le dimostrazioni che tra l'altro hanno portato a migliaia di arresti, compreso quello dell'italiana Alessia Piperno, tuttora detenuta nel famigerato carcere di Evin.

Oggi il portavoce del ministero degli Esteri iraniano Nasser Kanani ha liquidato come «inutile» e «priva di fondamento» la risoluzione adottata ieri dal Parlamento europeo che chiede di sanzionare l'Iran per la violenza delle forze dell'ordine è per Teheran . «Cospiratori e rivoltosi hanno le proprie radici in Europa», ha aggiunto Kanani.

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La Repubblica islamica dell'Iran prevede un codice di abbiglimento molto rigido per le donne. Le Gasht-e Ershad (pattuglie di guida) sono unità speciali di polizia incaricate di garantire il rispetto della morale islamica e di arrestare le persone che vengono percepite come vestite in modo "improprio".

Secondo la legge iraniana, che si basa sull'interpretazione della Sharia, le donne sono obbligate a coprirsi i capelli con l'hijab (velo) e a indossare abiti lunghi e larghi per non far emergere la propria figura.

Masha Amini aveva presumibilmente alcuni capelli visibili sotto il velo quando è stata arrestata dalla polizia morale a Teheran il 13 settembre. È entrata in coma poco dopo essere collassata in un centro di detenzione ed è morta tre giorni dopo in ospedale. 

In una rara intervista, un ufficiale della polizia morale ha parlato alla BBC, in forma anonima, della sua esperienza. «Ci hanno detto che il motivo per cui lavoriamo per le unità di polizia morale è proteggere le donne», ha detto. «Perché se non si vestono bene, gli uomini potrebbero provocarle e far loro del male». Ha detto che hanno lavorato in squadre di sei, composte da quattro uomini e due donne, e si sono concentrati sulle aree ad alto traffico pedonale e dove si raduna la folla. «È come se andassimo a caccia», ha detto.

La lotta delle autorità iraniane contro il velo indossato male è iniziata subito dopo la Rivoluzione islamica del 1979.

Sebbene molte donne lo facessero all'epoca, minigonne e capelli scoperti non erano una vista rara per le strade di Teheran prima che lo scià filo-occidentale Mohammad Reza Pahlavi fosse rovesciato. Sua moglie Farah, che spesso indossava abiti occidentali, era considerata un esempio di donna moderna.

A pochi mesi dalla fondazione della Repubblica islamica, le leggi che proteggevano i diritti delle donne stabilite sotto lo scià hanno iniziato a essere abrogate. «Non è successo da un giorno all'altro, è stato un processo graduale», ha detto Mehrangiz Kar, 78 anni, avvocato e attivista per i diritti umani che ha contribuito a organizzare la prima protesta anti-hijab. «Subito dopo la rivoluzione c'erano uomini e donne per le strade che offrivano gratuitamente foulard alle donne avvolti in carta regalo».

Il 7 marzo 1979, il leader della rivoluzione, l'ayatollah Ruhollah Khomeini, decretò che l'hijab sarebbe stato obbligatorio per tutte le donne sul posto di lavoro e che considerava le donne scoperte "nude".

Le donne risposero con una protesta. Più di 100.000 persone, per lo più donne, si radunarono per le strade di Teheran il giorno seguente, la Giornata internazionale della donna. 

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