Mosca più vicina al default. «No ai bond pagati in rubli», il rifiuto delle banche internazionali

Il rifiuto delle banche internazionali. Strappo di Orban: gas in valuta russa. Dal G7 la spinta a maggiori restrizioni: congelati gli asset di Sberbank e Alpha

Mosca più vicina al default. «No ai bond pagati in rubli»
Mosca più vicina al default. «No ai bond pagati in rubli»
di Giusy Franzese e Gabriele Rosana
Mercoledì 6 Aprile 2022, 22:44 - Ultimo agg. 7 Aprile, 11:24
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«Vogliamo creare uno shock finanziario per Mosca». Nuovo affondo dell’Occidente, che fa fronte comune sulle sanzioni contro la Russia e aumenta la pressione sulle banche mentre prende quota la prospettiva default del Paese dopo che ieri Mosca ha annunciato di voler rimborsare le cedole scadute in rubli anziché in dollari. Un cambio di valuta che le banche internazionali però hanno rifiutato. Alla vigilia del G7 dei ministri degli Esteri di oggi a Bruxelles, gli Stati Uniti hanno annunciato - d’accordo con Ue, Regno Unito, Giappone e Canada -, lo stop a nuovi investimenti in Russia, l’inserimento nella black list e il congelamento degli asset della principale banca della Federazione, Sberbank, e del maggiore istituto di credito privato, Alfa Bank. «Vogliamo far pagare alla Russia il prezzo delle sue azioni, aumentandone l’isolamento economico», ha detto il presidente Usa Joe Biden, mentre la Casa Bianca quantifica in una riduzione del 15% del Pil il colpo all’economia russa, «che spazzerà via gli ultimi 15 anni» di crescita. Si allarga poi l’elenco degli oligarchi russi colpiti dalle sanzioni. «È terrorismo finanziario», ha bollato il Quotidiano del Popolo, organo ufficiale del partito comunista cinese. «Una peculiare neutralità filo-russo» ha commentato l’Alto rappresentante Ue Josep Borrell. 

Le crepe

Intanto, si evidenziano le prime crepe in Europa. «Siamo pronti a pagare il gas russo in rubli, se necessario», è la posizione dell’ungherese Viktor Orbán, fresco del quarto mandato da premier.

La doccia fredda è arrivata mentre gli ambasciatori dei Ventisette erano riuniti per valutare il quinto pacchetto di sanzioni preparato dalla Commissione e che prevede, tra l’altro, lo stop all’import di carbone: non sono mancati gli intoppi (in particolare sul nodo se il divieto riguarderà solo i nuovi contratti o anche quelli in essere), ma il previsto via libera arriverà oggi, in tempo utile per il vertice G7. Restano le resistenze sull’estensione delle restrizioni anche a petrolio e gas nell’Ue. «Prima o poi» arriveranno, ha assicurato il presidente del Consiglio europeo Charles Michel, mentre il Cremlino ha fatto sapere, sprezzante, che «il mondo non è solo l’Occidente» e che «daremo il nostro gas ad altri». 

Il default

Ma c’è un altro macigno che sta per abbattersi su Mosca: il default del debito sovrano. A marzo, seppur con qualche giorno di ritardo, le cedole in scadenza dei bond russi furono pagate in dollari. Stavolta non è andata così: il ministero delle Finanze russo ha annunciato di voler pagare in rubli la cedola scaduta il 4 aprile scorso per un ammontare di ben 649,2 milioni di dollari, visto che «una banca estera si è rifiutata di eseguire le istruzioni». A dire no, su indicazioni del Tesoro Usa, è stata JPMorgan, la banca che ha gestito cinque pagamenti coupon sui bond russi dall’inizio dell’invasione. E dato che il pagamento in valuta diversa da quella contrattata non è consentito (e le banche internazionali infatti non lo hanno accettato) l’evento apre le porte al “default” della Russia, che secondo alcune agenzie di rating ha una probabilità di verificarsi del 99% entro l’anno. Dal Cremlino minimizzano: sarebbe un “default artificiale”, perché la Russia dispone di «tutte le risorse necessarie per ripagare il proprio debito» precisa il portavoce Dmitry Peskov.

In effetti la Russia i dollari per onorare i suoi debiti li avrebbe: a fronte di 490 miliardi di dollari di esposizione verso l’estero, le riserve della Banca centrale russa ammontano a 640 miliardi di dollari. Ma la metà è in valuta estera, per buona parte depositata su conti esteri che congelati con il primo pacchetto di sanzioni varato da Ue e Usa all’indomani del 24 febbraio, giorno dell’invasione di Putin in Ucraina. «Anche se è impossibile - ha poi ammesso Peskov - teoricamente si potrebbero proclamare alcune situazioni di insolvenza, ma sarebbero situazioni di default artificiali». Mosca ha comunque un periodo di grazia di 30 giorni per far arrivare i fondi agli investitori nella valuta concordata. Se non lo fa, “artificiale” o meno, sarà default. Un cappio che toglierebbe ancora di più ossigeno a Putin costretto così a tagliare le risorse all’armata russa e farebbe tracollare in un pozzo nero anche imprese e cittadini, con conseguenze pesantissime.

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