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Nord Stream, la Nato e l'allerta Baltico: «È guerra ibrida». Reti strategiche a rischio

La Nato in allerta: è guerra ibrida. Le unità che hanno compiuto l'offensiva sono sfuggite al controllo dell'Alleanza

Gas, attacco al Baltico: esplosioni sottomarine danneggiano il Nord Stream. È allerta Nato
Gas, attacco al Baltico: esplosioni sottomarine danneggiano il Nord Stream. È allerta Nato
di Marco Ventura
Articolo riservato agli abbonati
Mercoledì 28 Settembre 2022, 00:10 - Ultimo agg. : 17:35
5 Minuti di Lettura

Allerta e sorveglianza. Le procedure Nato si attivano immediatamente alla notizia del sabotaggio (che difficilmente può essere altro) nel Baltico. Uno scenario che nell’Alleanza avevano già studiato. «Un caso tipico di guerra ibrida, che mette insieme l’asset energetico e la forza sottomarina», dicono al quartier generale di Bruxelles. Fra l’altro, gli italiani sono impegnati in prima linea nella sorveglianza aerea nel Baltico e le occasioni di intervento per «mettere in riga» i caccia russi che provocatoriamente si affacciano al limite delle zone aeree si stanno moltiplicando. Ma la parola d’ordine nella Nato è chiara: «Calma e sangue freddo». Verso i comandi marittimi dell’Alleanza è partito l’ordine, d’accordo con quelli nazionali, di maggiore sorveglianza nelle aree sensibili e sugli assetti militari potenzialmente ostili, gli unici in grado di danneggiare Nordstream 1 e 2. La priorità: tenere sotto costante controllo i movimenti delle unità russe nel Baltico.

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LE VERIFICHE

La prima domanda che a Bruxelles si sono posti, dopo le fughe di gas, è chi sia stato. La seconda, se vi siano gli estremi per l’articolo 5 del Trattato, che prevede l’azione delle forze dell’Alleanza in caso di attacco a uno dei Paesi membri. Lo scenario di un atto ostile fuori dei confini dell’Ucraina era stato messo nel conto, e il confronto diretto considerato da evitare a ogni costo per non coinvolgere la Nato in una guerra frontale. Alla prima domanda è stata data la risposta logica, prima ancora che fattuale: se si incrociano le informazioni su quanti abbiano le capacità per compiere operazioni di sabotaggio di quella portata con chi potrebbe avere interesse a farle, il responso è univoco e porta alla Russia. Ma nulla può esser detto finché non viene fuori “la pistola fumante”. E non c’è la convenienza a alzare il livello dello scontro. I corridoi energetici sono a tutti gli effetti considerati asset strategici per i Paesi europei e per la Ue, soprattutto nel contesto di una “guerra fredda” che passa attraverso le forniture di gas. «In questo momento tutti si stanno interrogando su chi potrebbe avere convenienza a un’operazione di sabotaggio come quella che si è verificata. Questo approccio è totalmente sbagliato», dice Andrea Margelletti, presidente del Centro Studi internazionali (Cesi): «Il punto è un altro: la domanda che dobbiamo porci è una sola, quella che ci consente di restringere la cerchia dei “sospettati”, di chi ha la capacità tecnica di fare un lavoro del genere, che non prevede soltanto una specializzazione di personale, ma mezzi capaci di operare con strumentazioni specifiche». Quali sono le nazioni che “ufficialmente” sono in condizione di svolgere questo tipo di attività? «La Marina russa, anzitutto, e quella statunitense col sommergibile Jimmy Carter».

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IL PRECEDENTE

Un caso simile nella storia recente c’è. «Già ai tempi della guerra fredda - aggiunge Margelletti - l’Unione Sovietica aveva utilizzato mezzi subacquei particolarmente innovativi per l’epoca, in quel caso nei confronti della Svezia, in grado di lasciare sul fondo della Baia di Stoccolma addirittura tracce di cingoli». Altre nazioni che potrebbero avere capacità simili sono Gran Bretagna e Cina. «Ma è altamente probabile – precisa Margelletti - che a fare quello che è stato fatto, escludendo l’interesse di un’azione offensiva contro nazioni alleate, possano essere stati i mezzi speciali della Marina russa e del Gru, ovvero il potentissimo servizio militare russo». Tuttavia, per invocare l’articolo 5 occorre un avversario conosciuto, dichiarato o comprovato senza ombra di dubbio. Sicuramente, si pone come problema cruciale la protezione delle infrastrutture energetiche, sia visibili che invisibili, quindi sottomarine. Tradotto in termini operativi, questo significa, da parte della Nato, dedicare una serie di assetti militari al monitoraggio della flotta russa nel Baltico, specie delle forze subacquee. E ne consegue anche la necessità di controllo e protezione, d’accordo con le unità dei Paesi membri o alleati (incluse Svezia e Finlandia nuovi acquisti) delle pipeline, le condutture. «Mentre finora si è parlato della funzione di missili, aerei e dell’eventuale tramonto del carro armato rispetto al missile anticarro, emerge sempre più la necessità di rafforzare la componente marittima, per evitare che vengano colpite le linee di approvvigionamento energetico, che si danneggino o distruggano i cavi di comunicazioni che passano sott’acqua, questo vale anche per Internet, o che venga ostacolato il traffico marittimo del grano. Il mare è sempre più un campo di battaglia fondamentale, tanto quanto quello terrestre, aereo e spaziale. E qui i russi stanno portando avanti in modo coerente la loro azione politica e militare».

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