Migranti, il capo delle motovedette libiche: «Ong sono calamita per gli scafisti»

Abdullah Tumia: «Le Ong sono una calamita per gli scafisti. Aprire i centri? Il vero problema è fuori»
Abdullah Tumia: «Le Ong sono una calamita per gli scafisti. Aprire i centri? Il vero problema è fuori»
di Valentino Di Giacomo
Martedì 9 Luglio 2019, 07:34 - Ultimo agg. 11:02
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L'ammiraglio Abdalla Tumia, Capo della Guardia Costiera di Tripoli, ha deciso di parlare per chiarire e difendere il lavoro dei suoi uomini. È lui che con le motovedette donate dal governo italiano pattuglia le coste libiche per non far partire i migranti, un lavoro sempre più complesso anche a causa dei bombardamenti aerei dell'esercito del generale Haftar.

Negli ultimi giorni sono arrivati diversi barconi. Queste partenze sono dovute al bel tempo oppure alla guerra in corso?
«Tra le priorità del nostro Paese e della Marina militare c'è quella di salvare gli immigrati in difficoltà in mare e fornire loro l'aiuto necessario dopo le operazioni di salvataggio per la consegna in uno dei centri di accoglienza sotto la direzione degli organismi internazionali. Non abbiamo maggiori o minori difficoltà a causa della guerra, i dati dei migranti che arrivano in Italia sono eloquenti e rispetto agli anni scorsi non si può non riconoscere il lavoro che stiamo svolgendo. Dall'inizio dell'anno sono arrivati in Italia meno di 3mila migranti dalla Libia, fino a tre anni fa potevano arrivarne anche il doppio in un solo giorno. Significa che i nostri sforzi servono e che siamo in grado di rispettare gli accordi con il vostro governo».

Serraj ha detto di voler aprire i centri di detenzione liberando i migranti non essendo più in grado di difenderli dagli attacchi di Haftar, come a Tajoura. Partiranno più persone?
«Non credo che l'apertura dei centri influisca sul numero di immigrati che partono, non le sfuggirà che le persone che sono nei compound sono circa 7mila, ma ce ne sono dieci volte di più all'esterno».
 



E allora qual è la ragione di questo aumento di partenze?
«Anche la presenza delle navi delle ong è un fattore. Attraverso la mia esperienza, la ragione principale dell'aumento dei flussi migratori ha una forte relazione con l'attività delle ong e sicuramente non l'eventuale apertura dei centri per migranti. Lo abbiamo visto quando le ong si avvicinavano alla Libia a soli 15 miglia, questo incoraggiava i migranti a partire e i trafficanti a mettere i barconi in mare. Mentre la Guardia Costiera sta compiendo sforzi scrupolosi per le operazioni di salvataggio, le organizzazioni ostacolano il nostro lavoro e incoraggiano i migranti lanciando false voci contro la Guardia Costiera con storie inventate. Le ong offrono sicuramente un effetto-calamita. Ancora più grave è quando andiamo in mare per recuperare un barcone e ci troviamo una nave delle ong: le persone si tuffano in mare per raggiungere le loro imbarcazioni mettendo a rischio la vita».

Oltre a controllare le coste, siete in grado di contrastare i trafficanti che alimentano questi flussi? Avete i loro nomi?
«I nominativi dei trafficanti e la raccolta dei dati sono di competenza dell'Ufficio Anti-immigrazione. La Guardia Costiera ha come compito le operazioni di salvataggio e bloccare la partenza. Ovviamente forniamo tutte le informazioni agli ufficiali preposti».

Sono diventate più complesse le vostre operazioni da quando sono iniziati i bombardamenti di Haftar?
«Le nostre mansioni non sono cambiate, per noi resta un obbligo morale proteggere la vita umana. Abbiamo solo il timore che le vite salvate vengano poi messe a rischio con gli attacchi aerei da parte di Haftar come avvenuto a Tajoura dove sono morte più di cinquanta persone. Questo è il vero problema che dovrebbe porsi la comunità internazionale».

Cosa chiede all'Italia
«La situazione a Tripoli è eccellente anche grazie alla presenza della Ambasciata italiana, quello che ha fatto Salvini, condannando l'attacco al centro di accoglienza e l'offensiva di Haftar contro la capitale è una cosa positiva, ma per quanto riguarda le nostre richieste sono dettagli tecnici delle commissioni delegate».

 

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