Usa, prof si finse nera: «Così ho fatto carriera». Scandalo alla George Washington University

Usa, prof si finse nera: «Così ho fatto carriera». Scandalo alla George Washington University
di Flavio Pompetti
Sabato 5 Settembre 2020, 07:22
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Per diversi anni la professoressa Jessica Krug ha insegnato nella prestigiosa università di Georgetown a Washington politica e cultura della diaspora africana in seguito alla schiavitù. Un suo libro sugli schiavi ribelli che scappavano dalle piantagioni del sud degli Usa è stato finanziato da associazioni a difesa della cultura di colore, ed è stato finalista di un paio di premi letterari riservati agli autori neri. L'unico problema, emerso negli ultimi giorni grazie a quella che sembra essere una autodenuncia da parte della stessa autrice, è che la signora Krug non è una donna di colore. Non è un'africana trapiantata negli Usa, come ha raccontato a qualcuno, né la figlia di afroamericani, come ha detto ad altri. Non è nemmeno una portoricana nera, terza maschera che ha indossato pubblicamente. Jessica Krug è nata da una famiglia di ebrei bianchi alla periferia di Kansas City, la bianchissima cittadina del Midwest resa celebre in Italia da un altro celebre millantatore: Nando Moriconi, l'americano a Roma del nostro Albertone nazionale.

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LA LETTERA
Una lettera apparsa sulla testata digitale Medium con la firma di Jessica Krug denuncia la menzogna che va avanti da decenni, e che ha contribuito al successo della sua carriera pubblica. «Io non sono un avvoltoio culturale ammette l'autrice, usando un'espressione molto in voga nel dibattito sulle appropriazioni e sulla correttezza politica Sono una sanguisuga della cultura!». La lettera contiene dettagli strani: l'autrice non chiede mai scusa, né parla del pentimento che l'avrebbe portata ad ammettere la frode. Dice però che la menzogna è strettamente collegata a problemi mentali dei quali ha sofferto a lungo, senza mai affrontarli. Circolano tra l'altro sul web filmati che ritraggono l'attivista Jess la Bombalera (la bombaiola in spagnolo), che con uno spiccato accento portoricano-americano interviene in un dibattito comunale a New York, sul tema della discriminazione razziale. Molti giurano che si tratta della stessa persona, e che la Krug avrebbe interpretato personaggi diversi, in luoghi e situazioni diverse. L'Università di Georgetown, uno dei centri della cultura afroamericana, rifiuta di commentare, ma ha aperto un'inchiesta. Non è la prima volta che questo strano trasformismo razziale accade. Lo scrittore Jess Row sei anni fa ne ha fatto il soggetto di un libro: La tua faccia nella mia, il cui protagonista si sottopone ad un intervento di chirurgia plastica e ad un riassegnamento facciale, per acquisire l'identità di un nero, e mettere così a tacere il senso di colpa che lo perseguita per far parte della classe dominante dei bianchi.



LA DENUNCIA
Pochi mesi dopo l'uscita del libro negli Usa, ci fu la denuncia clamorosa dei genitori Ruthanne e Larry Donezal. La loro figlia Rachel, nata in una comunità rurale del Montana nel seno di una famiglia con radici tedesche, ceche e svedesi, da anni si spacciava per una donna di colore, e in questa qualità si era qualificata come insegnante di studi africani alla Eastern Washington University; addirittura come presidentessa della locale sezione della Associazione nazionale per la promozione delle persone di colore. Donezal in un solo colpo perse tutto: reputazione, lavoro e stato sociale nella comunità nella quale operava. Ha ammesso di aver mentito sull'identità razziale dei suoi genitori, ma continua a professarsi nera, perché tale è la sua convinzione identitaria. Nello stato dell'Ohio la giornalista Lù Olkowsky ha trovato un intero villaggio: East Jackson, nel quale cittadini dalla pelle candida e dai capelli biondi si professano di razza afroamericana.

Sono poveri e si sentono da sempre discriminati, una generazione dopo l'altra hanno preso a chiamarsi neri. Pretendono che i loro documenti personali riflettano la scelta, e che i rari sussidi destinati alla popolazione di colore arrivino nelle loro tasche.

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