Ucraina, Elya muore di paura a 6 anni dopo 11 mesi trascorsi nel sotterraneo per sfuggire alle granate dei russi: il cuore ha ceduto

Abitava a 5 chilometri dal fronte

Ucraina, Ilya muore di paura a 6 anni dopo 11 mesi trascorsi nel sotterraneo per sfuggire alle granate dei russi
Ucraina, Ilya muore di paura a 6 anni dopo 11 mesi trascorsi nel sotterraneo per sfuggire alle granate dei russi
di Claudia Guasco
Sabato 14 Gennaio 2023, 20:08 - Ultimo agg. 25 Febbraio, 17:11
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Ilya aveva sei anni e viveva nel Donbass, epicentro della guerra in Ucraina. Da undici mesi la sua casa era una cantina, dove si è rifugiata con i genitori per sfuggire alle bombe. Ilya aveva perso tutto: la scuola, gli amici, la libertà. La paura era la sua ombra e alla fine le ha spezzato il cuore. Non è un missile ma il terrore la causa della sua morte, comunicata due giorni fa dall’ambasciata ucraina presso la Santa Sede.


I TRAUMI
Accanto al corpo della piccola c’era un pupazzo di peluche rosa, il suo conforto nelle notti buie.

Al freddo, senza luce, con il rumore delle esplosioni sempre più vicine. Non tutte le famiglie possono scappare e sono i bambini a portare i segni più profondi della sofferenza.

Khrystyna, 8 anni, abita in una città dell’oblast di Kiev e sua madre Oksana racconta che i capelli della figlia hanno iniziato a diventare grigi per i traumi subiti dai bombardamenti. Tra il 24 febbraio e il 10 agosto, sono i dati di Save the children, almeno 942 bambini sono stati uccisi o feriti, una media di cinque al giorno, con 356 bimbi che hanno perso la vita e 586 feriti. Il 16% delle piccole vittime aveva meno di 5 anni. A novembre il numero di morti e feriti è salito a 1.170, ma secondo l’Onu è sottostimato.

Dana, 29 anni, e sua figlia Antonina, 2 anni, sono fuggite da Kharkiv a marzo, al culmine degli attacchi alla città, prima anche loro hanno cercato riparo in cantina. «Antonina sentiva le esplosioni e aveva paura, non riusciva a dormire. Quando la stessa cosa accade qui si spaventa e chiede: “È scoppiato qualcosa, mamma. Cosa è esploso?’”», è il racconto di Dana raccolto dall’organizzazione che tutela i diritti dell’infanzia e dell’adolescenza. «A una bambina di due anni non posso spiegare che c’è una guerra e che i suoi coetanei stanno morendo», riflette Dana. Così mente, la rassicura dicendo che i boati che sente sono tuoni. Questa tattica però non funziona con i nipoti più grandi, consapevoli di ciò che sta accadendo. «Fanno molte domande.

Il bambino di nove anni mi ha chiesto: “Morirò anch’io?”. I suoi genitori fanno fatica a trovare le parole giuste per rispondergli». I piccoli cercano dai grandi sollievo e speranza per il futuro: «La mia nipotina di cinque anni domanda: “Quando sarò grande, dovrò ancora correre subito verso l’uscita quando c’è una sirena?”». Natalia, psicologa di Emergency, fa parte del gruppo che accoglie i profughi a Balti, in Moldavia. Spiega che sono sempre più i genitori che chiedono aiuto per i loro figli. Hanno vissuto e interiorizzato l’esperienza della guerra e l’incertezza della fuga, tanti sono assaliti da ansia, panico, stress perdurante. «Si sentono in costante pericolo dopo il distacco dalla famiglia e dal gruppo sociale, senza più punti di riferimento», rileva Natalia.


SOTTO LE SEDIE
Quando arrivano a Balti, i primi giorni stanno seduti su una sedia, senza muoversi né parlare, come facevano nei bunker dove si riparavano. Il loro gioco preferito è nascondersi sotto i tavoli. «La stessa tecnologia che permette di tenersi in contatto con i propri cari è anche un’importante fonte di agitazione: tutti, anche gli adolescenti, hanno installato sugli smartphone un’applicazione che segnala le sirene antiaeree nelle città ucraine. Questo li fa rimanere in apprensione costante, perché non hanno cognizione della portata dell’allarme».

I russi hanno condotto oltre 700 attacchi alle infrastrutture sanitarie, curare i bambini che restano, spesso è impossibile. Come Davyd, 4 anni, malato di tumore, scoperto poco prima dello scoppio della guerra. Le bombe hanno interrotto la sua chemioterapia, i genitori lo hanno portato in Italia ma era troppo tardi. È morto tre giorni fa all’ospedale di Belluno.

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