Come ci si prepara alla guerra? Come devono comportarsi i civili in caso di un attacco militare? Sono domande che in molti si stanno facendo in questo periodo in Ucraina, soprattutto in regioni dove la guerra portata dai russi e dai loro alleati interni nel 2014, non è mai arrivata. E le reazioni sono differenti: c’è chi ha paura e pensa a come organizzarsi con i propri familiari per andare via il prima possibile, c’è chi invece ha già pronta un’arma in casa per difendere se stesso e il proprio Paese, c’è chi invece aspetta, perché è convinto che alla fine, succederà poco o niente. E poi ci sono i giovani soldati al fronte, che già sanno che potranno morire sotto il fuoco nemico. Ma la verità è che nessuno riesce a immaginare cosa potrà accadere nel breve termine, e c’è una sorta di fatalistica attesa.
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I bunker segreti
Il comune di Kiev, intanto, ha predisposto la mappatura di migliaia di rifugi e bunker antiaerei e su Google map gli abitanti della Capitale possono verificare dove si trovano i ripari più vicini e anche altre informazioni su ospedali e ricoveri di emergenza.
Questi rifugi antiaerei non sono segnati sulla mappa, è inutile cercarli, sono noti solo a chi deve essere informato, perché non sono destinati ai normali civili ma a personale specifico. Nel lungo corridoio sotterraneo adiacente al bunker c’è spazio per un altro migliaio di persone.
Ana potrebbe essere una di quelle. È una pittrice e ha uno studio in un vecchio edificio poco vicino alla stazione. Giovanissima, ha partecipato a Maidan quando aveva quindici anni. «Non mi sento preoccupata e non voglio esserlo. Non voglio ascoltare le notizie, perché se lo facessi sarei nervosa tutto il tempo. E vedo che le persone che mi stanno attorno e ascoltano le notizie, specialmente adesso, stanno pensando di lasciare il Paese. So cosa sta succedendo, ovviamente». A Kiev non c’è la guerra, ma sembra che ci sia. C’è una guerra di informazione, c’è una guerra di opinioni, di sensazioni, di sentimenti, di paure.
Le storie
«Ho i nonni, ho la famiglia, non voglio fermare la mia vita di tutti i giorni per iniziare a pensare a come posso salvare tutti, se e quando decidere di partire. È una cosa durissima da pensare, quindi ci voglio pensare solo se questa evenienza si verificherà», dice Michele Lacentra, chef del ristorante “Il siciliano”, anche questo a due passi dalla stazione. Nato a Winthertur, in Svizzera, ma cresciuto in Veneto, Lacentra sorride quando si parla della guerra: «Io la vivo tranquillamente, senza particolare ansia. Qui la vita si svolge normalmente, i locali e i negozi sono aperti e pure il nostro ristorante. Mi arrivano continuamente messaggi preoccupati da parenti e amici dall’Italia, ma cerco di rassicurarli che è tutto come prima, che non è ancora cambiato nulla. Se succedesse qualcosa, a me e a mia moglie hanno consigliato di andare in metropolitana, perché sono state costruite alla fine degli anni cinquanta e sono molto profonde. Qui accanto, per esempio, c’è la fermata di Arsenalna che è la più profonda del mondo, oltre 100 metri. Più di così...» Fabio Doria, di origini calabresi, a Kiev da un paio di anni, si occupa di import-export di prodotti italiani. Vive in città con la sua compagna e non sembra particolarmente preoccupato degli eventi. «In televisione qui ne parlano ma in maniera contenuta - dice - si parla di politica e di quello che sta avvenendo, ovviamente, ma i toni sono molto più pacati. Speriamo che non accada nulla, perché poi a rimetterci è solo la gente comune».