Arzano, denuncia e fa arrestare gli estorsori: la vendetta del clan contro la madre

In cella gli esattori del clan: volevano duemila euro destinati agli «amici di Arzano»

Tre arresti ad Arzano
Tre arresti ad Arzano
di Marco Di Caterino
Martedì 11 Aprile 2023, 08:00 - Ultimo agg. 12 Aprile, 13:16
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Ci vuole coraggio per combattere la camorra. Soprattutto in certi posti, come Arzano, dove il clan 167 esercita la propria egemonia grazie anche quella zona grigia popolata di politici e imprenditori che si prestano al servizio della cosca e calano la testa davanti alle vittime della criminalità.

Nonostante tutto, c'è chi, vessato fino all'inverosimile il coraggio di ribellarsi lo trova e i camorristi finiscono in cella. È accaduto a Pasqua, con l'arresto di tre affiliati al clan 167, che avevano chiesto a un imprenditore del posto, titolare di un avviatissimo bar, la somma di duemila euro destinati agli «amici di Arzano».

Ebbene, questa volta la vittima si è rivolta alla polizia e ha denunciato gli estorsori che in seguito a rapide indagini sono finiti in carcere.

Le manette sono scattate per Antonio Alterio, 29 anni, che a novembre scorso era stato gambizzato in un circolo ricreativo durante la faida tra i Cristiano e i Monfregolo; Antonio è fratello di Gennaro e Raffaele, finiti anch'essi in carcere il 24 aprile dello scorso anno, accusato di associazione a delinquere aggravata dal metodo mafioso e ritenuti i capi del clan 167, cosca considerata una delle più importanti della galassia degli scissionisti. Insieme ad Alterio, sono finiti in carcare Salvatore Lupoli, 29 anni, detto «'o trombone», e Giuseppe Bussola, 22 anni.

Al blitz degli agenti del commissariato di Frattamaggiore e dei poliziotti della squadra mobile e riuscito a sfuggire Davide Pescatore, 30 anni, meglio noto negli ambienti della malavita arzanese come «pall e fierro».

La polizia ha eseguito una ordinanza di custodia cautelare in carcere, disposta dal gip del Tribunale di Napoli su richiesta dalla Direzione distrettuale antimafia. Per gli arrestati l'accusa è di concorso di tentata estorsione continuata aggravata dal metodo mafioso.

Ma nonostante gli arresti, che di fatto hanno al momento lasciato senza guida la cosca di Arzano, il clan 167 è duro a morire. Nei giorni immediatamente successivi agli arresti, l'abitazione della mamma del coraggioso imprenditore, in piazza Sant'Agrippino dove il clan ha attivato una grossa piazza di spaccio dell'eroina - è stata fatta oggetto di un fitto lancio di pietre, accompagnato da invettive e minacce di morte per il titolare del bar, tanto che la donna è stata costretta a non poter uscire di casa. Ma evidentemente il coraggio è una peculiarità della famiglia dell'imprenditore, che oltre a denunciare quanto accaduto ha raccolto con sorprendente calma e pazienza tutti i sassi e le pietre e li ha consegnati alla polizia.

Per non lasciare soli l'imprenditore e la mamma, domani pomeriggio il Comitato di liberazione dalla camorra a Nord di Napoli si riunisce nel bar preso di mira dai camorristi della 167 di Arzano. «Giovanni ha denunciato i camorristi, ma per un imprenditore che denuncia tanti altri, in questi giorni, stanno pagando il pizzo imposto dai clan nell'area metropolitana di Napoli. È necessario mettere in campo tutte le iniziative possibili per far sì che siano sempre di più coloro che denunciano gli estorsori - hanno sottolineato i rappresentanti del Comitato -. I camorristi sono abituati agli arresti e agli omicidi e sanno bene come riorganizzarsi per continuare a imporre la loro volontà con la forza della violenza e non bisogna assolutamente pensare che qualche arresto basti a fermarli. Occorre la mobilitazione della società civile, non solo per fare quadrato intorno al coraggioso imprenditore, ma per far capire alla camorra che non è invincibile». 

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