C'è chi nasce con la camicia e chi con l'uniforme. In questo caso, con la divisa dell'Arma dei carabinieri. Quasi un abito di famiglia, per i fratelli Nuvoletta di Marano. Per un beffardo paradosso portano lo stesso cognome di un famigerato clan di camorra, l'unico affiliato ai siciliani di Cosa nostra, protagonista di un lungo romanzo criminale, che ha attraversato una complessa epopea di camorra, dalla guerra con i cutoliani al delitto di Giancarlo Siani. E hanno la stessa provenienza geografica, quella Marano che, incollata al capoluogo da ogni lato, sui Camaldoli e su Chiaiano, ha il record di scioglimento del Consiglio comunale per infiltrazioni camorristiche (4 in 30 anni) e sta andando al voto in queste settimane, dopo l'ennesimo commissariamento, più stordita che risanata. Ma loro, i sodalizi criminali li hanno sempre combattuti, non hanno mai avuto dubbi sulla parte da scegliere, e su dove stare. E ci hanno anche rimesso un pezzo di famiglia, forse il più famoso dei fratelli Nuvoletta, Salvatore, ucciso giovanissimo dalla camorra per fedeltà all'Arma.
Carabinieri. Nati con la divisa. A rilanciare la storia di questa famiglia è stato l'altro giorno Nando Dalla Chiesa, due volte deputato, una volta senatore, docente universitario a Milano, noto secondogenito del generale Carlo Alberto, ucciso a Palermo, da prefetto, ormai 41 anni fa. Nando, di passaggio a Napoli, ha rivisto i due fratelli Nuvoletta, con cui in questi anni ha condiviso parte dell'impegno per la legalità e contro le mafie. E con una foto postata sui social ha voluto ricordare la storia della famiglia, che ha intrecciato la sua e quella di suo padre. Enrico Nuvoletta, Gennaro Nuvoletta: due carabinieri di Marano, fratelli, che hanno fatto in passato da scorta al generale. «Eravamo molto uniti - ricorda Enrico - abbiamo girato l'Italia facendo da scorta a Dalla Chiesa.
Salvatore, arruolato a 17 anni, a venti lavorava nella caserma di Casal di Principe. Fu ucciso a Marano da un commando di killer dei casalesi per vendetta contro la morte di Mario Schiavone, a sua volta ucciso in un conflitto a fuoco coi carabinieri. Il giovane Salvatore, quando capì che stava per essere ucciso, non scappò e spostò, invece, lontano da sé un bambino di 9 anni che gli era accanto e poteva restare ferito nell'atto. Per molti anni, questo atroce delitto è stato dimenticato. Solo grazie all'instancabile impegno dei fratelli si è dato onore alla memoria di Salvatore. Medaglia d'oro al merito civile, intestatario della caserma dei Carabinieri di Marano, dello stadio di Marano, di un centro sportivo polivalente proprio a Casal di Principe, nei locali confiscati a Francesco Schiavone. E sempre a Casale, il giovane carabiniere Nuvoletta ha visto intitolata alla sua memoria anche una scuola dell'infanzia. «Abbiamo sofferto molto - dice ancora Gennaro - abbiamo sofferto durante il nostro servizio, e poi con la morte di Salvatore. Ma sabato inauguriamo a Calvizzano un'altra sede dell'associazione Carabinieri intestata a lui». «Purtroppo, se da una parte, grazie alla nostra tenacia, sono arrivati i riconoscimenti - aggiunge Enrico - dall'altra abbiamo sentito anche una certa distanza proprio da quell'Arma a cui abbiamo dedicato la vita. È un anno e mezzo, per esempio, che proviamo a donare alla caserma dei carabinieri di Marano, intitolata alla memoria di Salvatore, un quadro che lo raffigura e che vorremmo esporre lì. Purtroppo, alle mie lettere inviate al Comandante generale dell'Arma, non è arrivata alcuna risposta. È un vero peccato. Ma noi non demordiamo». È il destino, del resto, di chi è nato con la divisa: non mollare mai.