Quando il maltempo ha iniziato a sferzare il golfo, nella notte tra venerdì e sabato scorsi, il regista ischitano Leonardo Di Costanzo era rientrato a Napoli da poche ore, di ritorno da Parigi dove aveva presentato con successo di critica e pubblico il suo film più recente, il notevole “Ariaferma”, uscito nei cinema francesi da pochi giorni dopo aver vinto quest’anno due David di Donatello.
Al risveglio sabato mattina, mentre la situazione a Ischia peggiorava di minuto in minuto, ha iniziato un serrato giro di telefonate con amici e parenti e da loro, ancora più che dai servizi dei telegiornali e dai video diffusi sui social, ha compreso che sull’isola s’era scatenato l’inferno.
Di Costanzo, da ischitano qual è il suo stato d’animo?
«Sono dispiaciutissimo, perché la situazione è molto seria e ci sono vittime, dispersi, feriti e sfollati. Quelle che sto vedendo in queste ore sono immagini davvero brutte, che raccontano di una tragedia immane».
Una tragedia che torna a colpire gli stessi luoghi già flagellati nel 2009, quando un’altra frana provocata dal maltempo uccise la quindicenne Anna De Felice mentre andava a scuola. Non si poteva fare proprio niente per evitare tutto ciò?
«Credo che questo non sia il momento delle accuse, ma dei soccorsi e della solidarietà massima verso chi sta soffrendo perché ha perso la casa o addirittura perché non trova più i propri cari. Ma è indubbio che quello di Ischia sia un territorio fragile che, di anno in anno, è andato incontro a trasformazioni sempre più profonde che inevitabilmente lo rendono più esposto a questi fenomeni atmosferici così estremi. Io, però, penso una cosa».
Che cosa?
«Che Ischia sia la metafora perfetta di quanto sta accadendo nel mondo oggi per quanto riguarda il rapporto tra l’uomo e l’ambiente. Mi sembra che stiamo continuando a ballare sul ponte del Titanic senza badare all’iceberg che si avvicina sempre di più».
Rispetto ai suoi anni da ragazzo sull’isola, oggi trova che la situazione sia molto cambiata?
«All’epoca, la gente viveva molto di più nelle campagne e aveva un rapporto ben più saldo col proprio territorio. Lo conosceva molto meglio e agiva di conseguenza. Le terre erano coltivate e ci si prendeva molta più cura del terreno. Anche le acque venivano convogliate in modo più razionale. Avevamo tanti corsi d’acqua per tutto l’anno, mentre oggi non li vedo più, perché forse sono coperti o sono semplicemente spariti. C’era anche una maggiore coscienza rispetto ai luoghi nei quali si poteva o non si poteva costruire, mentre oggi purtroppo mi sembra che la situazione sia completamente diversa. Anche i boschi sono più abbandonati e meno controllati».
Che cosa le dicono in queste ore i suoi contatti sull’isola?
«La mia famiglia vive dall’altra parte dell’isola, ma sto sentendo di continuo tanti amici e familiari, che per fortuna non sono stati coinvolti in prima persona ma hanno comunque subito danni alle cose. Mio fratello, in particolare, m’ha detto che s’è sentito miracolato, perché la sera prima della frana era proprio in quei luoghi poi travolti dal fango. Lui è un musicista e venerdì sera era in quell’area di Casamicciola a suonare con alcuni amici. Stavano facendo le prove e sarebbero dovuti tornare lì a suonare la sera dopo. Al termine, hanno lasciato lì tutta la strumentazione e sono andati via e la mattina dopo hanno saputo della tragedia avvenuta nella notte. Naturalmente, i loro strumenti sono stati travolti dal fango, ma se si fossero trattenuti lì la situazione sarebbe potuta essere molto peggiore anche per loro».