Alessandra, figlia di Teresa Buonocore: «Mamma uccisa dall'orco ma denunciare è giusto»

«In casa mia non ci hanno insegnato l'odio. Il dolore che sento è solo per la mancanza di mia madre»

Alessandra Cuevas è la figlia di Teresa Buonocore
Alessandra Cuevas è la figlia di Teresa Buonocore
di Francesca Mari
Venerdì 25 Novembre 2022, 07:00 - Ultimo agg. 26 Novembre, 10:15
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Teresa Buonocore aveva 51 anni quando fu assassinata da due killer mentre andava al lavoro, raggiunta da quattro colpi di pistola. Era il 20 settembre del 2010. Il mandante era Enrico Perillo, l'uomo che aveva abusato della figlia di appena 9 anni di Teresa, Alessandra Cuevas, e che da quella mamma coraggio era stato denunciato, fatto arrestare e condannare a 15 anni di carcere. Oggi Alessandra ha 26 anni, studia Lettere Moderne ed è una donna coraggiosa quanto la madre, pronta a raccontare la sua storia perché possa essere d'aiuto alle altre donne vittime di abusi e violenze. E «Alessandra-Il coraggio di una figlia» è il titolo del documentario che Real Time, in collaborazione con la Nuova Accademia di Belle Arti di Milano, ha realizzato su questa storia, in occasione della Giornata internazionale per l'eliminazione della violenza contro le donne. Sarà donato al Centro antiviolenza di Portici dedicato a Teresa Buonocore.

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Cosa prova oggi?
«Per quelle persone niente.

In casa mia non ci hanno insegnato l'odio. Il dolore che sento è solo per la mancanza di mia madre».

Cosa l'ha aiutata a superare quei terribili momenti?
«Non li ho superati da piccola. Mi hanno aiutato, nel tempo, la mia famiglia e gli psicologi. Vivo con mia sorella minore, mia zia e mia nonna a Salerno. Devo tanto a loro e a tutte le persone che mi hanno sostenuta. Sono stata fortunata. Ma ci sono donne che non lo sono, sia per contesti culturali che per problemi economici. A loro va prestata massima attenzione».

Chi era quell'uomo?
«Era il padre di due mie amichette delle elementari, si erano appena trasferiti nel mio palazzo. Era in casa sua che avvenivano gli abusi: la prima volta sul terrazzo, poi in camera da letto. Le figlie restavano zitte. La moglie, medico, non c'era quasi mai».

Ma non diceva nulla a nessuno?
«No, avevo paura e mi sentivo in colpa. Poi lui mi aveva minacciata, mostrandomi una pistola e dicendomi che l'avrebbe usata per ammazzare mia madre. Vivevo nell'incubo, mi facevano male gli occhi dal dolore».

Poi cosa è successo?
«Un giorno ci chiamarono dal consultorio, dicendoci di dover fare un'indagine sui figli degli stranieri (mio padre vive a Santo Domingo, per noi è un estraneo). Avevano ricevuto una telefonata anonima con una denuncia degli abusi. La psicologa mi interrogò a lungo, dopo un po' raccontai tutto. Mia madre mi abbracciò, mi chiese come mai non gliel'avessi detto ma non mi domandò i particolari. Non abbiamo mai parlato tanto di quelle cose. Ma lei andò dritta per la sua strada e denunciò. Furono anni terribili, ebbi un crollo emotivo e finii in ospedale. In attesa dell'appello ci bruciarono la porta di casa. Poi quel terribile giorno».

Cosa ricordi?
«Io e mia sorella eravamo a scuola, ci portarono a casa della zia. Ci dissero che avevano ammazzato mamma, io capii il perché. Mi manca tanto, vorrei andare al mare con lei. Tutte le volte che ho pensato di non farcela mi sono detta Ce la farò, ce l'ha fatta lei. È qui con noi, sempre».

Si è mai sentita abbandonata?
«No, sono stata fortunata. Ho avuto accanto la mia famiglia, la polizia, la magistratura e il giudice Carlo Spagna, colui che aveva condannato Perillo all'ergastolo. E le istituzioni: il governatore Vincenzo De Luca, allora sindaco di Salerno, che ci ha dato una casa e un lavoro a mia zia e il sindaco di Portici, Enzo Cuomo».

Cosa sente di dire alle donne che subiscono violenza?
«Di denunciare, sempre. La storia di mia madre può sembrare contraddittoria: si può pensare che la denuncia può costare la vita. Ma mia madre con il suo coraggio e la sua fede nella giustizia ha fatto un dono straordinario a me e mia sorella. Ci ha reso donne libere». 

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