Giulia Tramontano uccisa, dolore a Sant'Antimo: «Lo shopping per il bimbo, quanta gioia negli occhi»

La negoziante di corredini per neonati: «È stata qui con la mamma, erano felici»

L'insegna del negozio “La Birba” dove Giulia si era recata con la madre a comprare il corredino per il nascituro
L'insegna del negozio “La Birba” dove Giulia si era recata con la madre a comprare il corredino per il nascituro
di Marilicia Salvia
Giovedì 1 Giugno 2023, 23:31 - Ultimo agg. 2 Giugno, 17:24
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Inviato a Sant'Antimo 

«E pensare che in una delle scorse settimane eri qui da noi per il corredino, quante risate fatte, quanta gioia nel cuore per la nascita del tuo bambino, quanta gioia nel tuo cuore di diventare mamma, quanta felicità negli occhi di tua mamma nel diventare nonna».

Chi si domanda se Giulia presagisse un pericolo, o fosse davvero “turbata” come il suo assassino l’ha descritta denunciandone la finta scomparsa, chi vuole sapere che cosa esattamente quelle coltellate abbiano tranciato senza pietà e senza senso, è da queste parole che deve partire: dal racconto commosso che Chiara Tramontano, proprietaria del negozio “La Birba” specializzato nell’abbigliamento per neonati, ha affidato ieri mattina a Instagram. Una nuova vita stava per arrivare, Giulia era felice, sua mamma Loredana era felice e la portava a fare spese con orgoglio, quella figlia che se n’era andata a Milano per vivere una vita migliore ma di tanto in tanto se ne tornava qui, a Sant’Antimo, a casa, a ritrovare il suo abbraccio.

«Come si può accettare una cosa del genere, come», scrive la commerciante, dando voce al dolore piombato all’improvviso su questa cittadina che di dolori ne ha provati tanti, ma mai così assoluti, così devastanti.

«Voglio fare un appello, voglio chiedere anche al Papa di non opporsi alla pena di morte», dice con gli occhi umidi, sapendo di esagerare ma anche di interpretare il pensiero di tanti, Angelina Iacobucci, titolare di un centro benessere che sta al primo piano del palazzo di fronte a quello dove abitano i Tramontano.

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«Una famiglia perbene, persone tranquille e a modo, non meritano una cosa così», premette: «Ma nessuno se la merita, e non è giusto che noi madri dobbiamo tremare per le nostre figlie. Io ne ho due, una studia all’Università, vivo nel terrore che faccia un incontro sbagliato. Quell’uomo deve pagare duramente, non come Parolisi che tra un po’ esce di galera e ciao.

Fino a quando non si puniranno duramente questi mostri - insiste Angelina centrando il punto - continueranno a pensare che così possono risolvere i loro problemi. Basta, in nome di Giulia basta».

 


A Sant’Antimo, come ormai in molti comuni italiani, c’è una panchina rossa, di tanto in tanto si organizzano iniziative per tenere alta l’attenzione sul tema della violenza sulle donne. Il ricordo della morte di Stefania Formicola, uccisa qui dal marito il 19 ottobre 2016 perché lei, stufa delle continue violenze, aveva chiesto il divorzio, non smette di bruciare. Di Giulia nessuno sa dire se avesse subìto violenze fisiche o psicologiche dal suo compagno prima del delitto, se si fosse sfogata in famiglia o con qualche amica. «Magari a Senago, qui di amicizie qui ne aveva poche ormai, oltretutto aveva preso la licenza liceale ad Aversa», dice don Salvatore Coviello, da quarant’anni parroco di Santa Lucia, che Giulia l’ha battezzata, le ha dato la prima comunione, e adesso si prepara a celebrarne il funerale.

«Il suo e quello del figlioletto: non dimentichiamo mai che l’omicida si è portato via due vite, è una tragedia immensa», dice don Salvatore, che con la famiglia di Giulia è da ieri mattina in contatto telefonico. «Sono tutti a Milano, i genitori, la sorella e il fratello più piccolo: ho cercato, cerco di dar loro conforto, aspettiamo di capire quando potranno portare qui le loro povere creature. Mi hanno detto che è stato un fulmine a ciel sereno, nessuno sapeva, o poteva immaginare un simile orrore». Il fatto è, ragiona il parroco, che oggi «i giovani pensano di poter gestire da soli le loro emozioni, come se fossero fatti privatissimi» e invece «serve un nuovo patto tra le generazioni, bisogna imparare a fidarsi di più, ad aprirsi di più». E poi quella esplosione di violenza, terrificante, inconcepibile: «Vince l’egoismo, la passione per l’effimero. Ciò che disturba il proprio interesse va eliminato, in qualunque modo».


A via Lambrakis, dove la famiglia Tramontano vive in un grande condominio in cemento armato, non ci sono ancora segni del lutto, nessun manifesto funebre, solo tanto silenzio. Il Comune insieme alle associazioni e alla parrocchia prepara una fiaccolata, il sindaco Massimo Buonanno ha annullato gli eventi organizzati per il 2 giugno e proclamato per il giorno dei funerali il lutto cittadino. Cancellati anche gli spettacoli e i fuochi d’artificio previsti per domani in occasione della festa del Patrono: i portantini - fanno sapere l’amministrazione comunale e la Fondazione “Cappella di Sant’Antimo” - porteranno il Santo per le vie del paese con il lutto al braccio.

«Ogni femminicidio è un lutto per l’intera comunità e io mi rendo sempre più conto che c’è ancora tanto da fare per cambiare questa società», sottolinea il primo cittadino. Ma questo femminicidio, consumato insieme a un infanticidio, nonostante questo o forse proprio per ottenere questo, è uno choc troppo forte per essere sopportato da una comunità sola.

«Era il 2013 quando Giulia scorrazzava tra i corridoi dell’Università, beveva un caffé da Ciccio, chiacchierava e sorrideva in aula studio», racconta un suo collega di quegli anni all’Orientale, e sembra di vederla lì, viva e felice: un messaggio semplice e chiaro, rivolto agli studenti di quell’ateneo, «sempre contraddistinti da caparbietà e attivismo», perché «questi episodi non si verifichino più». Ognuno si rivolge a chi può. Da qualche parte, in qualche modo, si deve cominciare. 

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