Ischia, la denuncia di Vera Corbelli dell'Autorità di Bacino: «Hanno tombato gli alvei e costruito sopra le case»

«Dai nostri piani si evince che estese porzioni di Casamicciola e Lacco Ameno sono a rischio R4 e R3»

È il momento della conta dei danni a Ischia
È il momento della conta dei danni a Ischia
di Mariagiovanna Capone
Giovedì 1 Dicembre 2022, 07:00 - Ultimo agg. 18:40
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Vera Corbelli, confermata il mese scorso segretario generale dell'Autorità di Bacino distrettuale dell'Appennino meridionale, parla del disastro di Casamicciola, sul quale il 26 novembre ha inviato una relazione in merito ai sopralluoghi che avevano evidenziato tombamenti e ostruzioni lungo gli alvei.

In questi giorni c'è stata molta confusione riguardo i piani del rischio idrogeologico, ci aiuta a capire?
«Con la legge 183 del 1989 sulle Norme per il riassetto organizzativo e funzionale della difesa del suolo si è iniziato a parlare per la prima volta di piani del rischio, e si fissò l'Autorità di bacino come organo istituzionale di riferimento. Dopo l'alluvione di Sarno del 1998 si realizzarono i Piani straordinari, quindi la prima cartografia fa riferimento a quel periodo e prese in considerazione la classificazione R4 (rischio molto elevato) ed R3 (rischio elevato).

Dopo l'alluvione di Soverato del 2000 fu estesa a R2 (rischio medio) e R1 (rischio moderato). La mappatura prevedeva quindi con queste classi di rischio una definizione di Pericolosità secondo una scala P1, P2, P3, P4, il bene esposto e il danno potenziale».

Quindi le cartografie dell'Autorità di bacino sono il riferimento. Immagino ci siano stati vari aggiornamenti da allora in poi.
«Naturalmente, devo però sottolineare che le Autorità di Bacino regionali e interregionali e in Campania hanno subito numerose evoluzioni di denominazione a seconda anche delle aree di interesse, prima ce n'erano cinque, poi tre... Dal 2017 sono istituite per distretti e quella che comprende la Campania è l'Autorità di bacino distrettuale dell'Appennino meridionale con un territorio molto vasto. Il primo piano del rischio fu redatto dal Autorità di bacino regionale nord occidentale della Campania nel 2002 che individuava zone per pericolosità e rischio. Ci fu una modifica del piano perché l'Autorità divenne Campania Centrale nel 2010, ma poi ci sono state altre suddivisioni. L'accorpamento dei piani operativi dei vari distretti delle autorità regionali diede luogo al piano del 2015, cui si sta facendo riferimento in questi giorni evoluti poi nel 2018, ma nelle modifiche sono stati inseriti elementi molto importanti per la pianificazione del rischio idrogeologico. I piani che a oggi sono stati redatti alle varie scale sono avvenuti con metodi anche diversi ma qualitativi perché la pianificazione viene fatta così. Questo perché dopo ci sono i Piani regolatori che devono recepire questi strumenti di pianificazione e programmazione della pericolosità e del rischio e approfondire laddove ci sono dei beni esposti. Compito che spetta ai Comuni».

In questi giorni si è parlato di aree bianche in mezzo a quelle rosse. Cosa sono?
«Proprio le aree che i Comuni dovevano dettagliare. Nel caso di Casamicciola aggiungo che quelle zone bianche se andiamo a confrontarle con carte topografiche datate notiamo che hanno subito un modifica antropica notevole. Dai nostri piani si evince che estese porzioni di Casamicciola e Lacco Ameno sono a rischio R4 ed R3, nelle quali sono presenti numerosi beni esposti in quanto suscettibili all'innesco, transito e invasione di fenomeni di colata rapida di fango, flussi iperconcetrati (miscela acque e sedimento) e crolli tra le quali ci sono proprio quelle colpite dall'evento del 26 novembre. Inoltre, anche dopo sopralluoghi recenti, abbiamo segnalato che gli impluvi nei quali evolvono questi fenomeni franosi presentano numerosissime interferenze che possono aumentare le criticità».

Che tipo di interferenze?
«Si tratta di tombamenti, edificazioni e strade alveo. La presenza di queste ostruzioni potrebbe aver anche modificato il percorso del flusso creando quelle deviazioni che abbiamo notato sul terreno, con la colata di fango che ha letteralmente attraversato le case e naturalmente si dovrà fare chiarezza su questi punti. Tuttavia vorrei fosse chiaro che le aree bianche insistono tutte in zone ad alta pericolosità e rischio, non è che fossero esenti. Si tratta di zone che dagli anni '60 agli '80 hanno subito un'antropizzazione massiccia senza la consapevolezza della reale pericolosità. Ora parliamo di Ischia ma la Campania è la regione a più alto rischio d'Europa, si è urbanizzato ovunque. Oggi però abbiamo una consapevolezza del rischio, quindi dobbiamo iniziare a cambiare l'approccio».

Ed è possibile?
«Certo e le dirò di più: lo stiamo già facendo. Nel Comune di Minori due anni fa abbiamo avviato un percorso di tipo qualitativo della gestione del rischio: arriveremo a definire quali sono gli interventi area per area. C'è un disordine territoriale diffuso che esalta il problema del rischio e quindi ho evidenziato la necessità di definire una struttura ad hoc con tutti i soggetti coinvolti per creare un'azione sistemica».

È una questione di fondi?
«È una questione di progettazione del territorio, va fatto in maniera corale. Anche perché, proprio sui fondi, ce ne sono stati tanti e molti mal usati perché nei Comuni mancano i tecnici. E quando sono usati bene, non ci sono quelli per la manutenzione, come accade a Sarno, dove abbiamo delle importanti vasche che nel frattempo si sono riempite e non si riesce ad avere fondi per svuotarle».

Ritornando a Ischia, sappiamo che oltre al rischio idrogeologico esiste anche uno sismico. Esiste un piano che unisce questi due elementi?
«Lo stavamo facendo proprio in questo periodo, e dopo alcuni sopralluoghi proprio nelle aree bianche ci siamo resi conto di tanti tombamenti e ostruzioni, lì dove non dovevano esserci, predisponendo quanto necessario per l'individuazione degli interventi necessari». 

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