Cardito, raid di guerra con l'auto-ariete e quattro killer con i kalashnikov

Sparati venti colpi di mitra contro la casa di un pregiudicato

L'intervento della polizia a Cardito
L'intervento della polizia a Cardito
di Luigi Sabino
Domenica 5 Marzo 2023, 22:56 - Ultimo agg. 7 Marzo, 07:20
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Sono vere e proprie scene di guerra quelle vissute dai residenti di via Antica Belvedere, a Cardito. Il popoloso comune della periferia nord, infatti, è stato teatro dell’ennesimo episodio della violenza camorrista. Tutto è avvenuto intorno alle cinque di domenica mattina quando, improvvisamente, un’auto, lanciata a tutta velocità, ha sfondato il cancello d’ingresso del civico 30, irrompendo all’interno della piccola corte.

Non un semplice incidente ma un assalto. Dal veicolo scendono in quattro, armati di micidiali fucili mitragliatori kalashnikov. In pochi istanti si scatena l’inferno. Le raffiche raggiungono la facciata di un palazzo al cui interno, si scoprirà, abita un pregiudicato della zona. Il commando, portata a termine l’azione di fuoco, si dilegua mentre le prime telefonate d’allarme arrivano alla centrale operativa delle forze dell’ordine. In pochi minuti, sul posto, arrivano le volanti del commissariato Afragola i cui equipaggi, dopo aver cinturato la zona, procedono con i rilievi del caso. A terra, i poliziotti recuperano oltre venti bossoli calibro 7,62.

Chi ha sparato, spiegano gli investigatori della Polizia di Stato, si è servito di un’arma da guerra, forse proprio uno dei micidiali fucili di fabbricazione russa tanto amati dalle organizzazioni criminali. Nessun dubbio, infatti, sulla matrice camorristica del raid. Quello che, però, desta sconcerto sono le modalità con cui l’azione di fuoco è stata portata a termine.

Innanzitutto, l’utilizzo dell’auto come ariete indica che il commando, oltre ad aver pianificato attentamente l’azione, era disposto a tutto pur di portarla a termine. Un secondo aspetto, invece, è la scelta dell’arma utilizzata per il raid. Chi ha sparato non voleva soltanto intimidire ma anche compiere un gesto eclatante e, per questo motivo, non ha esitato a utilizzare un mitragliatore d’assalto. Due elementi, quelli rilevati dagli investigatori che, però, sembrano stridere con il profilo del presunto bersaglio. Dai primi accertamenti, infatti, è emerso che all’interno dell’immobile danneggiato dalle raffiche abita solo un soggetto degno di attenzione da parte delle forze dell’ordine. Si tratta di un trentatreenne che, in passato, era finito nei guai per riciclaggio ma che, allo stato, non risulta organico a sodalizi camorristici che operano nella zona. Un pesce piccolo, quindi ma nei cui confronti non si è esitato a mostrare i muscoli. Perché? È questa la domanda che, in queste ore, assilla gli investigatori. 

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Svelare il movente del raid, infatti, significherebbe, con ogni probabilità, anche arrivare all’identificazione dei responsabili. Non solo. A rendere ancor più preoccupante l’accaduto è il fatto che questo è avvenuto a Cardito, territorio dove, da tempo, non si registrano particolari scossoni negli equilibri criminali. La zona, riferiscono gli investigatori, è saldamente controllata da chi ha preso il posto del vecchio boss Francesco Pezzella, meglio noto negli ambienti malavitosi con il soprannome di “pan ‘e ran” e detenuto da alcuni anni. La sua uscita di scena, spiegano gli uomini delle forze dell’ordine, non ha alterato gli assetti come dimostra il fatto che, solo pochi mesi fa, due esattori del sodalizio furono arrestati grazie alle denunce presentate da alcuni imprenditori vittima del racket.

Per questo motivo quanto accaduto in via Antica Belvedere assume contorni ancora più inquietanti. Altro aspetto che desta preoccupazione negli investigatori è la disponibilità di armi da guerra da parte della criminalità organizzata che opera in questa porzione di territorio. Veri e propri arsenali da cui i gruppi di fuoco dei clan possono rifornirsi non solo per compiere azioni intimidatorie ma anche, nel caso, per eliminare eventuali rivali. Non a caso le guerre di camorra che si sono combattute nell’area negli ultimi anni sono state particolarmente feroci. Un esempio su tutti è la cosiddetta “faida dei bruciati”, uno scontro brutale cui parteciparono anche i boss di Cardito e che aveva come caratteristica il fatto che diverse vittime, dopo essere state uccise, furono date alle fiamme, lasciando agli investigatori l’ingrato compito di riconoscerle solo attraverso resti semi carbonizzati.

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