Comune e associazioni antiracket saranno parti civili nel processo contro il gotha del clan D'Alessandro. È partito oggi, a due anni dal rinvio a giudizio e a quindici anni da alcune delle contestazioni, il processo «tsunami» che vede tra gli imputati anche il boss Vincenzo D'Alessandro, oggi a piede libero, ma in passato ritenuto a capo del clan di camorra fondato dal defunto padre Michele. Oggi, proprio lui che è ritenuto dall'Antimafia il principale imputato del maxi processo alla camorra di Castellammare di Stabia era presente in aula, per difendersi dalle pesanti accuse. Associazione di tipo mafioso, estorsione, usura sono solo alcuni dei reati contestati a vario titolo ad una ventina di imputati, che potranno difendersi nel corso del processo che sarà celebrato dinanzi ai giudici del tribunale di Torre Annunziata (presidente di collegio Antonio Fiorentino, a latere Valeria Campanile e Luisa Crasta).
Le indagini condotte dai carabinieri della compagnia di Castellammare di Stabia ricostruiscono decine di episodi di usura ed estorsione ai danni di imprenditori e commercianti dell'area stabiese, che risalgono al periodo 2006-2009, fino all'omicidio del consigliere comunale Gino Tommasino, ucciso dal clan D'Alessandro il 3 febbraio di quattordici anni fa.
Parti civili si sono costituiti il Comune di Castellammare di Stabia, Sos Impresa e Fai Antiracket. Accanto a Vincenzo D'Alessandro, sono a processo tra gli altri anche Paolo Carolei, pure lui tornato in libertà di recente e ritenuto ai vertici del clan stabiese ed un'altra ventina di persone, tra cui storici affiliati al clan D'Alessandro come Antonio Occidente, Ferdinando Gargiulo e Vincenzo Ingenito, tutti detenuti per altri reati.
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