Camorra, Roberti: «È tempo di un piano speciale, solo così si estirpa il cancro»

Camorra, Roberti: «È tempo di un piano speciale, solo così si estirpa il cancro»
di Marilicia Salvia
Domenica 24 Aprile 2016, 09:34 - Ultimo agg. 09:35
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Un piano speciale. Una strategia corale. Per battere la camorra, spiega il procuratore nazionale antimafia Franco Roberti, non bastano risposte ordinarie sul piano dell’ordine pubblico, che comunque ci sono, e sono importanti. Ma occorre un’azione sinergica, tutte le istituzioni in campo unite, ciascuna impegnata a far bene la propria parte. E occorrono soldi, molti più soldi di quelli finora stanziati. Occorre, dice in una parola Roberti, la consapevolezza che la guerra alla camorra è una priorità: «Diamo un segnale forte, significativo, una grande prova di compattezza e di volontà, se non vogliamo arrenderci e dichiarare il fallimento dello Stato».

Procuratore, ogni volta che la camorra sembra sconfitta o almeno domata, con arresti e sequestri anche importanti, l’asticella della sfida torna ad alzarsi: stavolta i killer hanno sparato tra i bambini, nel cuore del Rione Sanità che stava appena cominciando a ribellarsi. Cosa rende questi criminali così spavaldi, da farli apparire addirittura invincibili?
«La camorra non è solo un problema di ordine pubblico ma una grande, irrisolta questione di carattere sociale e politico. Se non si capisce questo, e non si affronta quindi la partita in maniera globale, questo cancro non sarà estirpato. Perché di cancro si tratta, un cancro metastatizzato che a Napoli e nell’area metropolitana è cresciuto alimentandosi di una cultura dell’illegalità molto diffusa anche nella società civile e nelle classi dirigenti. La camorra, checché ne dicano i rappresentanti della politica e delle istituzioni, non è un’emergenza ma una componente permanente della città, del territorio».

È per questo che risposte emergenziali, come l’invio dell’Esercito sulle strade più a rischio, non si dimostrano adeguate?
«La presenza dell’Esercito è utile in quanto libera esponenti delle forze dell’ordine da compiti di presidio su obiettivi a rischio, e consente di spostarli su compiti dinamici, di investigazione, di repressione. Ma è chiaro che non ci si può fermare lì. Se nonostante l’azione di contrasto incessante posta in essere da magistratura e forze di polizia con le risorse disponibili i gruppi criminali continuano ad agire, se questi si permettono di assaltare una caserma dei carabinieri come accaduto a Secondigliano, se pur di abbattere l’avversario mettono in conto una strage di innocenti come si è rischiato alla Sanità, allora vuol dire che questa azione, per quanto incisiva, non sortisce alcun effetto deterrente».
Bisogna andare oltre, insomma. Come?
«Va affrontato una volta per tutte il senso di sfida e di impunità che consente a queste bande di impazzare senza che lo Stato riesca a mettere loro un freno. Questi giovanissimi killer non temono la giustizia, non temono il carcere, e molti di loro neanche la morte. In loro è totalmente assente la consapevolezza del valore della vita propria e altrui. Non a torto in una recente ordinanza di custodia cautelare riguardante esponenti del clan Lo Russo, il giudice Ferri ha parlato di un dato che li avvicina ai terroristi islamisti».

Kamikaze di camorra, indottrinati dai clan, mandati in giro a seminare morte imbottiti di droga. Lo scenario è sconvolgente.
«Non sempre sono drogati. E i giovani affiliati sono sempre stati invasati, anche in passato. Solo che finché c’erano i grandi clan, i loro potenti capi riuscivano a controllarli: si evitava di attirare l’attenzione delle forze dell’ordine, la pax mafiosa conveniva a tutti per fare affari. Oggi i clan si fanno e si disfano, e le faide sono continue. Per certi versi imprevedibili. E perciò più pericolose».

Nel suo libro più recente, “Il contrario della paura”, lei insiste molto sul tema della sfiducia che si impadronisce della gente perbene. A Napoli si vive in compagnia della paura?
«La domanda è: i cittadini onesti hanno fiducia nelle istituzioni? Paura, omertà, sfiducia crescono quando si avverte la lontananza dello Stato. D’altra parte non è un caso se il problema della camorra, e in generale delle mafie, si trascina irrisolto dall’Unità d’Italia, tra rassegnazione e complicità a tutti i livelli».
Oggi vede più rassegnazione o più complicità?
«Vedo una maggiore sensibilità sociale rispetto a questi fatti. Ma ancora segnali di scarsa presenza e unità delle istituzioni. Un esempio? La sconcertante vicenda dello sfratto ingiunto dal Comune alla caserma dei carabinieri di piazzetta Mondragone, nel cuore dei Quartieri Spagnoli. Non discuto le ragioni del Comune, ma certo si è trattato di un segnale pessimo e deprimente per i cittadini onesti che vivono nella zona, e incoraggiante per i camorristi ai quali viene tolto il “fastidio” di una presenza così vicina. Non sono certo questi i segnali da lanciare».

Quali segnali, invece, vorrebbe vedere?
«Bisogna investire in sicurezza. Investire, senza badare a spese: se in casa c’è un problema da risolvere lo si fa lasciando perdere tutto il resto. I soldi, se davvero si vuole, si trovano».

Dunque più soldi.
«Sì, per avere più agenti e di grande qualità, per avere un sistema più diffuso e capillare di videosorveglianza. A Napoli ci sono 600 telecamere. A Londra, dove i problemi di criminalità non sono certo così pervasivi, ne hanno seimila. Più soldi e più uomini anche per controllare il mercato clandestino delle armi: ne circolano troppe, vanno requisite casa per casa. E poi vanno affrontate le eventuali disfunzioni organizzative sul piano giudiziario e del processo per assicurare una risposta penale sempre tempestiva, a cominciare dalla riforma della prescrizione che invece sembra allontanarsi nel tempo. Ma non è ancora tutto. È indispensabile garantire l’apertura delle scuole di pomeriggio e la presenza diffusa di palestre, piscine, impianti sportivi di ogni genere. I ragazzi vanno sottratti alla camorra: senza scuole, senza una cinematografia e una letteratura che propongano modelli migliori dei personaggi di Gomorra, senza una prospettiva di lavoro e senza lo sport che educa alla lealtà, al rispetto delle regole e alla disciplina saranno sempre lasciati soli».

È questo il “piano speciale” di cui ha bisogno Napoli?
«Quando affrontammo l’emergenza Casalesi nel Casertano fu istituito un tavolo permanente anticamorra: magistrati, forze dell’ordine, governo e parti sociali si riunivano periodicamente per individuare le priorità, valutare proposte concrete sul piano organizzativo e verificarne poi l’attuazione. Lo Stato deve sempre avere una funzione propulsiva verso tutte le forze in campo. Ma perché accada bisogna volerlo e fare tutte queste cose assieme».

L’alternativa è la resa?
«Non c’è un’alternativa.

Quando lo Stato fa lo Stato vince sempre».

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