Arco borbonico, il soprintendente La Rocca: «Crolli sul lungomare, non ci sono colpevoli»

Arco borbonico, il soprintendente La Rocca: «Crolli sul lungomare, non ci sono colpevoli»
di Paolo Barbuto
Martedì 12 Gennaio 2021, 11:10 - Ultimo agg. 13:52
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Ama Napoli visceralmente Luigi La Rocca. Non lo dirà mai apertamente, durante la lunga chiacchierata, ma bastano le parole con le quali accarezza la città per comprenderlo. Soprintendente a Napoli da poco più di un anno, appassionato di basket che seguiva assiduamente al Palargento, quanto era un palasport e non un rudere crollato, 54 anni a maggio, oggi alle prese con la devastazione delle mareggiate: Arco Borbonico crollato, Ramaglietto in pezzi, lungomare devastato.

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Soprintendente La Rocca, di chi sono le colpe?
«No, partiamo con il piede sbagliato perché la caccia alle streghe non mi appassiona».

Però la Soprintendenza aveva lanciato un allarme.
«Certo, ma nessuno avrebbe mai potuto prevedere una mareggiata così straordinaria».

La struttura, però, è crollata una settimana dopo, non si poteva salvare?
«Onestamente credo di no. Però a questo punto le chiedo si svoltare, di parlare al futuro e smettere di guardare a quel che è accaduto».

Cosa sarà dell'Arco Borbonico?
«Avevamo già in corso un'interlocuzione con l'Autorità Portuale per il restauro; il progetto andrà modificato ma il restauro si farà».

A lei sembra giusto che un pezzo di storia crolli così?
«Ovviamente no, non mi sembra giusto.

Va sottolineato, però, che da decenni quella struttura era malridotta, quasi un simulacro dell'opera di Alvino del 1872».

D'accordo, ma quel crollo è stato simbolico.
«Concordo, il simbolo collegato a quel crollo è drammatico e struggente ma, fortunatamente, non è una questione irrecuperabile».

Lungomare e Ramaglietto come sono messi?
«Come li vedete. Però abbiamo interlocuzioni quotidiane con il Comune e il recupero sarà rapido: il muro del lungomare sarà ricostruito così com'era. Per il molo del Ramaglietto c'è in animo un progetto di messa in sicurezza in attesa del recupero di fondi più consistenti».

Soprintendente, la città è malridotta, crolla, si accascia, lei non è avvilito come molti napoletani?
«Io osservo e sarei fuori del mondo se dicessi che tutto va bene. Però non sono avvilito perché le possibilità di svolta ci sono, sono tante e molte sono già in movimento. La mia stessa struttura, sebbene ridotta all'osso come numero di addetti, è piena di persone determinate, pronte a mettersi in gioco e a lavorare senza sosta per il bene della città».

È piacevole sentire le sue parole: Napoli, però, non sembra migliorare.
«È un contesto complesso. Edifici storici e monumenti sono incastonati in un tessuto urbano contrassegnato in molto casi da edilizia di scarsa qualità ma ancora vivissima che rischia di fagocitare tutto nel suo degrado».

Così, però, non ci lascia ben sperare. Come si fa a tirare fuori dal degrado edifici e monumenti storici?
«Coinvolgendo tutti, dalle amministrazioni alle persone comuni: chiedendo a ciascuno di offrire attenzione, rispetto e, soprattutto manutenzione ai luoghi storici. Di recente proprio Il Mattino ha pubblicato un'intera pagina su monumenti e edifici a rischio, ecco, anche queste iniziative servono a smuovere le coscienze, ad accendere i riflettori su beni quasi sconosciuti come il Colombario di via Pigna»

Che oggi è ingabbiato ma ha il futuro già segnato...
«No, non è così. Proprio io ho chiesto di proteggerlo per evitarne il crollo. Allo studio c'è anche un progetto per smontarlo e portarlo altrove; è l'unico modo per evitare che crolli. Anche se so bene che i monumenti archeologici non vanno estrapolati dal dal loro contesto, penso che in questo caso sia utile per salvare quella struttura».

Ci sono decine di altri luoghi in difficoltà, la Soprintendenza è attiva ? Si batte per la tutela?
«Ci proviamo, spesso ci riusciamo. In certe occasioni è vero che i programmi sono rallentati dalla burocrazia, da cattivi progetti, ma la Soprintendenza c'è, soprattutto per interventi che cambieranno il volto di Napoli».

Quali interventi?
«Quelli collegati alla Metro, ad esempio, a piazza Municipio e alla stazione Duomo. Quando saranno conclusi i lavori, quelle parti di Napoli avranno un volto differente».

Già, ma quando accadrà? I tempi sono infiniti.
«Per piazza Municipio la conclusione è vicina, ci sarà un po' più da attendere per la stazione di piazza Nicola Amore, ma sono entrambi luoghi in cui l'archeologia esploderà manifestando tutta la sua bellezza».

Le crediamo. Intanto però in città ci sono palazzi ingabbiati, chiese che crollano...
«Io mi auguro che con la futura amministrazione sarà possibile intraprendere un percorso di svolta e coordinare l'attività di tutela con la nuova pianificazione: illuminazione delle aree di interesse storico; arredo urbano; piano del colore; uso degli spazi pubblici; un nuovo piano regolatore per poter dare nuova linfa alla città».

Parliamo al futuro ma è il presente che ci preoccupa.
«Vede, io ritengo che bisogna procedere con progetti a lunga scadenza, di ampie vedute e, soprattutto, ben fatti. Ristrutturare un edificio storico o un luogo monumentale per poi lasciarlo in abbandono non ha senso. Bisogna contestualmente prevedere destinazioni d'uso anche con scelte coraggiose ».

Ad esempio?
«Ad esempio coinvolgendo associazioni, il terzo settore, per affidare in gestione certi luoghi. Oppure chiedendo l'intervento di privati ai quali concedere permessi per nuovi utilizzi».

Pensa a un permesso per realizzare un hotel in un luogo storico?
«Guardi che in molte parti d'Italia antiche ville e luoghi-simbolo sono stati recuperati, e oggi vivono di nuova luce proprio con progetti del genere; appunto parlavo di scelte coraggiose e magari non manichee».

La sua visione è dirompente.
«No, non lo è. Io ribadisco che il volto di una città migliora quando tutti sono concentrati per farlo migliorare: ciascuno deve sentirsi coinvolto e poter partecipare. E se la partecipazione prevede una destinazione d'uso utile a un privato, per me non c'è niente di male, purché sia compatibile con la tutela. E poi bisogna riuscire a vedere il bello anche dove sembra che non ci sia».

Dove, ad esempio?
«Penso all'area Est della città che sembra destinata solo ad un futuro di cemento e attività produttive mentre potrebbe essere rivalutata per le bellezze che ha, magari recuperando strutture come la ex Corradini, o Vigliena o l'ex mercato ittico. Quella è la porta della città per chi viene da Oriente, va esaltata e non ulteriormente avvilita».

A proposito di porta d'accesso da Est, cosa pensa del Fungo in ferro piazzato su via Marina?
«Ecco, quello probabilmente è un esempio di cattivo progetto. Chi l'ha immaginato per collocarvi tabelloni pubblicitari avrebbe dovuto sapere che le norme del codice della strada lo impedivano».

Anche lo scatolone per l'ascensore in cima al Monte Echia è un cattivo progetto?
«Io aspetterei di vedere realizzato il progetto prima di giudicare. E poi potrebbe essere un volàno per restituire dignità a quell'area di Napoli che è nel degrado».

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