«La Casa di Matteo è a rischio: il Comune di Napoli non paga più»

«La Casa di Matteo è a rischio: il Comune di Napoli non paga più»
di Nunzia Marciano
Venerdì 30 Aprile 2021, 10:30 - Ultimo agg. 1 Maggio, 10:02
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«Il Comune di Napoli ci deve 400mila euro per La Casa di Matteo. Siamo allo stremo: non chiudo perché da padre, non potrei più mettere la testa sul cuscino»: a lanciare la denuncia e un appello sulla sua pagina Facebook è Luca Trapanese, fondatore della comunità familiare per minori che dal 2017 accoglie bambini con patologie gravissime, abbandonati dalle famiglie perché rifiutati o per gravi indigenze. Ma il Comune deve fare i conti con un predissesto e con procedure burocratiche infinite: «Sono andata da Luca non appena insediata», dice l'assessore alle Politiche Sociali Donatella Chiodo, «ma purtroppo ci sono dinamiche che sfuggono al buon senso che direbbe di fare l'impossibile per pagare proprio queste comunità. Ho chiesto un incontro alla Regione Campania, all'assessore Lucia Fortini, ma mi è stato risposto di mandare una comunicazione scritta, cosa che farò. Sto lavorando per cercare una soluzione». E intanto nel rimbalzo della palla istituzionale, La Casa di Matteo rischia seriamente di chiudere: la comunità di via Pigna, a Napoli, è la prima in tutto il Sud Italia e vi lavorano sei infermieri pediatrici, sei educatori professionali, un coordinatore tecnico e uno educativo, che, dice Luca: «Ho scelto di essere io in maniera gratuita».

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Parliamo di cifre: che costi mensili avete?
«Circa 31mila euro, tra stipendi, fitto e utenze.

Siamo una specie di reparto esterno dell'ospedale Santobono: al momento abbiamo sei bambini più la disponibilità per un settimo, da 1 a 8 anni, che sono davvero molto gravi».

Perché il Comune di Napoli vi deve tanto?
«Quando accogliamo un bambino, c'è una retta onnicomprensiva che deve essere sostenuta dal Comune di residenza dell'assistito. Il Comune di Napoli sono 18 mesi che non ci versa nulla. Prima del Covid-19 facevamo eventi per raccogliere fondi. Adesso sopravviviamo grazie ai miei social per raccoglierli a distanza. Durante il lockdown ho chiuso la comunità La Quercia nella Sanità, che accoglieva da circa una anno nove ragazzi dai 13 ai 18, gravemente disagiati. E anche per quello il Comune di Napoli ci deve 180mila euro».

Con chi vi interfacciate al Comune?
«Coi vari assessori alle politiche sociali che sono cambiati nel tempo. Non diamo la colpa a loro: sono state disponibili ma nessuna di loro è stata in grado di aiutarci. Abbiamo cercato anche di coinvolgere il sindaco Luigi De Magistris: quando abbiamo pubblicato il libro sulla storia di Matteo, lui ci ha scritto la prefazione e poi il nulla».

Cosa vi dicono?
«Di aspettare. Noi almeno facciamo un po' di notizia. Ma quante piccole comunità non hanno la nostra forza e chiudono nel silenzio? Tantissime. Eppure sono fondamentali. La stessa Casa di Tonia che accoglie donne con bambini disagiati, resiste grazie al sostegno di privati e del Cardinale Sepe. Anche per quella il Comune ci deve soldi che chissà se avremo mai. Noi però dobbiamo pagare tutto, anche perché c'è un meccanismo perverso...».

Che meccanismo?
«Ogni mese vanno pagati i contributi F24: per La Casa di Matteo sono circa 14mila euro. Se non paghiamo, perché il Comune non ci paga, il nostro Durc diventa irregolare e il Comune non è più tenuto a pagarci! E noi rientriamo anche nelle attività che dovrebbero essere pagate per prime (anche se, a causa del predissesto comunale la classificazione non è valida e l'unico documento di riferimento è il cronoprogramma dei pagamenti, ndr). Dal 1 maggio ci saranno 362mila euro di credito per La Casa di Matteo più 179mila per La Casa di Tonia tra crediti certificati e non».

Cosa pensate di fare?
«Resistiamo. Da padre di una figlia disabile, che è fortunata perché ha una disabilità diversa ed è amata, con quale coscienza potrei chiudere e mettere la testa sul cuscino? Non potrei. Per aggiungere al danno la beffa, spesso siamo anche circondati da incompetenza: le istituzioni ci portano panettoni, uova di Pasqua e giocattoli. I nostri bambini non mangiano e non giocano!»

Cosa vi aspettate dall'appello lanciato su Fb?
«Le persone ci sono molto vicine. Anche perché guardare dei bambini che soffrono così, non può lasciare nessuno indifferente». Tranne le istituzioni, verrebbe da aggiungere. 

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