Centro direzionale di Napoli, la rabbia dei ristoratori: «Ora si investa sulla city»

Centro direzionale di Napoli, la rabbia dei ristoratori: «Ora si investa sulla city»
di Gennaro Di Biase
Sabato 30 Luglio 2022, 11:00 - Ultimo agg. 15:21
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Come allestire un prato (l'eventuale torre a Gianturco) a pochi passi da un grande giardino che esiste già (il Centro direzionale). Questo, in sintesi, è il pensiero degli imprenditori della zona mentre commentano l'intenzione della Regione di costruire ex novo una torre da 300 milioni a non più di duecento metri in linea d'aria. A parlare sono oggi i negozianti che da anni hanno scommesso sulla city partenopea: raccontano le criticità del «degrado, della sicurezza, dei trasporti e del calo di indotto» portato dalla pandemia e dallo smart working. La rabbia è tanta, ma i titolari degli esercizi offrono anche idee per salvarlo, il Centro direzionale: «Spostare altri uffici segnerebbe la rovina per centinaia di dipendenti e attività», dicono. Nelle prossime ore ci saranno riunioni per la formazione di un consorzio di protesta. 

Una migrazione ulteriore di flussi e uffici dal Centro direzionale metterebbe a rischio circa 400 posti di lavoro e 70 attività. Come dimostrano le decine di locali sfitti: «Il 30% dei negozi ha chiuso» dall'avvento del Covid. Eppure, tra le scale mobili arrostite dal sole e dall'incuria, tra i rifiuti sparsi e le aiuole-campi di grano, il Centro direzionale conserva molte tracce di bellezza. A tratti, lo skyline da grattacielo si specchia in palazzi colorati e finestre aggraziate quasi da Hansel e Gretel. Un'alternanza rara nelle city italiane. E riuscita. Ma il collegamento con la metro di Garibaldi è ancora un cantiere aperto nei pressi dell'isola F1, dopo anni. L'unico mezzo su ferro che porta da queste parti è la Circum. Ancora una volta, qui si cammina in quel terribile divario che assilla tante zone della città, nello spazio che divide ciò che il luogo potrebbe essere da ciò che è nei fatti. Luigi Petrone è il titolare del ristorante Vesuvio e sforna pizze a due passi dal Consiglio regionale: «Dopo il Covid - sospira - soffriamo lo smart working e la desertificazione. L'economia non è mai ripartita. Qui pago circa 4mila euro per un locale di 140 metri quadri. Spostare altrove quegli uffici che già ci sono provocherebbe un bagno di sangue. Ho 10 dipendenti, e serviamo quasi solo chi lavora in Regione. Organizzerò una riunione per creare un consorzio che si opponga alla torre». «Vanno tagliate le piante - sbotta Antonio Criscuolo, titolare del bar Franco - e non c'è più una mattonella intera.

Poi vanno monitorati i flussi di persone che stanno nel parcheggio sottostante: dagli extracomunitari che dormono fino a prostitute e rapinatori. La politica comunale non ha reso questo un vero quartiere». 

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Altro tema cruciale per la sopravvivenza della city è la creazione di eventi (come accadrà il 4 agosto, con un concerto alle 21 nell'ambito di Vedi Napoli e poi... torni): «Lavoriamo al 30% delle potenzialità, in tempi di smart working - esordisce Vincenzo Tipaldi, direttore di Greeat, locale di food - Qui il lavoro è distribuito su 5 giorni su 7. Ci serve incassare anche nel weekend, così da poter recuperare l'indotto perso in settimana. Se n'è parlato durante le ultime riunioni del Comitato del centro direzionale, di cui faccio parte». «Diversi uffici sono vuoti - lamenta Giuseppe Aruta di Sfizi e Delizie - si parlava di un arrivo dell'Agenzia delle Entrate prima del Covid. Ma non è accaduto nulla. Ben venga la delocalizzazione della movida in questa zona. Ma vanno abbassati i fitti e trovati incentivi, magari anche fiscali, per far investire gli imprenditori». «Ci stavamo riprendendo - dice Anna Overa, titolare di Caffetteria Martina - ma la risalita dei contagi lo ha impedito. Ho già chiuso un bar, poco più in là. Qui hanno chiuso una trentina di attività dal 2020. De Luca, anziché spendere altri soldi altrove, non potrebbe aiutare noi?». 

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