Coronavirus a Napoli, la forza di nonna Peppa: «Io, dalla Spagnola al Covid: canto per scacciare la paura»

Coronavirus a Napoli, la forza di nonna Peppa: «Io, dalla Spagnola al Covid: canto per scacciare la paura»
di Maria Pirro
Domenica 5 Aprile 2020, 09:00 - Ultimo agg. 16:44
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Inseguita dalla «Spagnola» da bambina, coccolata con il ragù della domenica, senza più il marito, soffrendo della morte di un figlio, costretta a non uscire ai tempi del coronavirus, Giuseppina Salerno non fa entrare nessuno nel suo basso in via Cristallini. «Sciò, sciò», ripete con voce squillante e, con lo stesso tono, canta per allontanare la paura della morte. Sulla soglia, appoggiata sugli scuri di legno, mostra il volto verace di Napoli, allegra e irresistibile: la nonna da guinness sfugge anche alle classifiche. Centonove anni il prossimo 17 giugno mai dichiarati fino a quando non ha superato le tre cifre. Una salute di ferro abbinata a una consolidata preoccupazione per le malattie, tant'è che le nipoti le danno le «gocce», le gocce d'acqua, sostenendo siano miracolose medicine.
 

 

Certo che l'anziana ricorda («Ma il ricordo è sfocato») la pericolosa influenza che durò più di un anno, tra il marzo del 1918 e l'estate del 1919, con delle ricadute durante il 1920 o il 1921. Una situazione presa alla leggera soprattutto dai madrileni, con re Alfonso XIII e più di centomila ammalati, e il bilancio terribile a livello mondiale: tra i 50 e i 100 milioni di vittime. «Oggi è un po' come allora», sospira, accettando eccezionalmente di raccontare la sua storia davanti alla macchina fotografica, anche videocamera, di Sergio Siano. E la sua storia attraversa il Novecento e lo supera. La pandemia a 7-8 anni, ma prima l'infanzia con la grande guerra e poi il secondo conflitto bellico di cui ha una memoria chiara perché ragazza: «Sotto i bombardamenti, ci nascondevamo nei rifugi tra le Fontanelle e Capodimonte. Saccheggiavamo quel che si poteva, correvamo a tutta forza. Mangiavamo le scorze di fave bollite e ci aiutavano l'uno con l'altro», spiega, facendo cenno ai principali eventi. Tra questi, il colera. E il più piacevole incontro con Totò che con 4 o 5 amiche ha frequentato da adolescente. «Corteggiava una mia vicina di casa e si esibiva su un piccolo palco costruito insieme in via Montesilvano». Il mondo in un quartiere, il rione Sanità. È qui che Giuseppina vive sin dalla nascita, nella strada di sempre, nel piccolo appartamento di famiglia: ora si muove tra il pianterreno e il soppalco. Cammina con attenzione: si è rialzata dopo la frattura di femore riportata già da centenaria a seguito di una caduta, proprio il primo gennaio. Cammina e sale le scale, la sera per raggiungere la camera da letto. Ovviamente, dopo una gustosa cena: il menu per l'occasione prevede il tortano preparato dalla nipote Maria Esposito, che abita con la mamma Cira, la sorella Cinzia e la sua bimba, vista l'emergenza. «La nonna mangia le nostre stesse pietanze», spiega la cuoca, svelando che fino ai 100 non ha voluto rivelare a nessuno l'età esatta. «Ho gli anni di quando sono nata», la frase diventata un mantra. «Ma, dal 2017, festeggia con la torta e una rosa che le regala un signore della zona. Quanto alle classifiche, le ignora».

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La più longeva di sempre risulta essere Emma Morano, piemontese, classe 1899: se n'è andata il 15 aprile 2017 a 117 anni e 137 giorni. L'attuale decana d'Italia è invece Erminia Bianchini, di 111 anni: compleanno il 23 aprile, residente a Diano d'Alba. Sul sito internet Supercentenari d'Italia sono 267 i concittadini censiti per «consegnare i loro nomi alla Storia di un popolo, fatto sì di poeti, di artisti e di eroi, di santi e di trasmigratori, ma anche di tante vite comuni dai numeri eccezionali». «A questa donna si deve, in realtà, l'apertura di Napoli sotterranea», interviene Vincenzo Albertini, speleologo e ideatore del percorso turistico tra i più amati in città. «La mia passione è scattata grazie ai suoi racconti di guerra, 35 anni fa», afferma con emozione.
 

Con le dita dallo smalto rosso che si intravede appena, «nonna Peppa» solleva e stringe la carta di identità. Professione: casalinga (ma anche esperta dell'arte di arrangiarsi, come venditrice ambulante, fino ai 94 anni e all'ultima lite con i vigili). Altezza: 1,66. Capelli: grigi (al momento, tinti di nero). Occhi: castani. Segni particolari: nessuno. Non ha foto da giovane da esibire, ma parla di sua nonna, «di straordinaria bellezza», che «posò come modella per la statua della chiesa dei Vergini», e pure arrivò alla veneranda età di 110 anni. Conclude parlando dei figli, cinque, cui si aggiungono una quarantina di nipoti, pronipoti e trisnipoti. «Il primo è un gran lavoratore», aggiunge senza sapere che come il più piccolo non c'è più. Nessuno ha il coraggio di dirglielo, perché per una madre «il dolore più grande e innaturale è dire addio ai propri cari». Ogni tanto fa quest'incubo, i parenti sostengono che abbia delle visioni. «Io ho paura che mi vengano a prendere...», dice quotidianamente, quasi per esorcizzarne il pensiero. «Questa è la vita», allarga le braccia e chiede una tazzina di caffè corretto con l'anice. Intona una canzone di Sergio Bruni, «'N accordo in fa».
Una nota di speranza. 

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