Nuovo dpcm e nuovo stop per i pubblici esercizi. La Campania rientrerebbe tra le regioni “arancioni”. Significherebbe saracinesche abbassate. I ristoratori sono preoccupati e divisi. C’è chi ritiene più giusto «proseguire restando aperti», e chi invece spera in uno «stop totale di 30 giorni per ottenere qualche risultato contro la pandemia». Il Covid, insomma, è tornato prepotentemente a dividere idee e posizioni. Il tutto mentre la crisi mette in ginocchio la Campania più che altre regioni, e spiana la strada alla liquidità della malavita: come emerso dai dati Istat rielaborati da Svimez, sono 360mila i lavoratori in nero in regione, tutti esclusi dai ristori. Secondo il report di Confesercenti, la nuova chiusura a Napoli provocherà perdite per bar e ristoranti di «77 milioni a novembre e 85 a dicembre».
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La Campania farebbe parte delle zone “arancioni”, quelle in cui - secondo l’ordinanza del ministro Speranza, che dovrebbe durare 15 giorni - i ristoranti chiuderanno h24 (mentre parrucchieri e centri estetici restano aperti) anche se la Regione si prepara a «una rimodulazione delle regole con la pubblicazione del dpcm», le cui misure dureranno da domani fino al 3 dicembre. La preoccupazione tra gli imprenditori riguarda quantità e tempistiche degli aiuti. «L’economia campana è una piena zona rossa - commenta a caldo Massimo Di Porzio, presidente di Fipe Napoli - Non vorremmo che nelle zone arancioni arrivassero ristori minori che altrove, visto che si chiude anche qui.
Pareri diversi su come combattere crisi e Covid. «Ero contrario alla chiusura - dice il pizzaiolo Giuseppe Vesi - Credo che il governo abbia problemi con scuola e trasporti, più che con i ristoranti. I recenti assembramenti in città sono da condannare, ma i problemi economici sono gravi. Sarebbe stato meglio lavorare su prenotazione e istituire il coprifuoco. La gente non si ferma. Chiudere i ristoranti non servirà, e si affolleranno i supermercati». «Non sappiamo più cosa pensare - commenta il pizzaiolo Antonio Starita - Ci ritroviamo a prendere misure drastiche con i dipendenti senza conoscere il futuro. Meglio chiudere 30 giorni per ottenere un risultato contro il virus. I giovani, se vogliono, si riuniscono lo stesso. Per ottenere un risultato servono più controlli e una chiusura totale. Ma tutto questo dipende da come il governo permetterà agli imprenditori di sopravvivere».
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Secondo Confesercenti, a Napoli ristoranti e bar perderanno «77 milioni a novembre e 85 a dicembre». In fumo anche il fatturato mensile campano dei 31mila pubblici esercizi regionali, pari a «1,8 miliardi, con 200mila lavoratori coinvolti nell’indotto». Napoli ha 1100 ristoranti, ognuno dei quali fattura «70mila euro di media al mese». Numeri gravi e seri, insomma. «La chiusura è una mannaia assoluta - dice Vincenzo Schiavo, presidente di Confesercenti Campania - Serve però che governo e Regione fissino un’agenda chiara degli obiettivi a breve, medio e lungo termine. E servono garanzie per avere immediati bonus economici. E quando poi si riaprirà dovremo avere già oggi la certezza sulla data e sugli aiuti (sgravi fiscali o slittamento di pagamenti) per sostenere la ripresa di queste attività, tra cui vanno inserite quelle, tante e importanti, della filiera della ristorazione». «Siamo stati i soli a mettere in campo 50 milioni di euro per le imprese con bandi mirati - spiega il presidente della Camera di Commercio di Napoli Ciro Fiola, a colloquio ieri con le imprese e con il ministro per il Sud Giuseppe Provenzano - Siamo pronti a fare altrettanto con il bilancio di dicembre. Speriamo, agendo di concerto con il Governo, di aggiungere ulteriori fondi. Ma vanno ripensati gli interventi per le imprese. Il Governo ha approvato la decontribuzione sull’assunzione fino a 35 anni. Ma con tanti 50enni in difficoltà, la decontribuzione va estesa a tutti, come dimostra la vicenda Whirpool. Servono ristori veri e veloci. Occorre che l’Inps assuma interinali per liquidare velocemente le pratiche. Ci sono aziende che aspettano la cig da 4 mesi. A noi mancano in organico 100 unità che le vecchie norme non ci consentono di colmare»