Napoli e il divieto anti-movida, la rivolta dei gestori: «Noi discriminati»

Napoli e il divieto anti-movida, la rivolta dei gestori: «Noi discriminati»
di Gennaro Di Biase
Lunedì 11 Gennaio 2021, 23:30 - Ultimo agg. 12 Gennaio, 08:32
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L’ennesima stretta anti-movida ipotizzata nel provvedimento su cui lavora in queste ore Palazzo Chigi rischia di riaccendere le tensioni sociali in città. Con il piano vaccinale in corso, e mentre il virus è tutt’altro che scomparso dalla circolazione, la rabbia sale tra gli imprenditori del by night partenopeo, le cui chat tornano a infiammarsi e agitare lo spettro delle rivolte di piazza. Se la sicurezza sanitaria resta prioritaria, sono tanti i temi che stanno inasprendo il malcontento dei gestori dei locali: la «mancanza di un codice ateco del by night, che genera ingiustizie sui ristori» e soprattutto la questione del divieto di asporto dalle 18 in poi anche in zona gialla, che potrebbe generare dei paradossi, specialmente se il governo non lo estenderà anche ai ristoranti: «Potremmo ritrovarci con un fast food che vende birre - dice Aldo Maccaroni di Chiaia Night e Baretti Falcone - mentre noi siamo chiusi. Ci sentiamo presi in giro di nuovo come categoria».

A Napoli esistono circa 100 locali notturni, che muovono un indotto di migliaia di lavoratori e centinaia di imprese (fornitori, trasporti, industrie). «Se il 16 gennaio scatterà il divieto d’asporto alle 18 - prosegue Maccaroni - lo accetteremo solo se si tratterà di una misura nazionale.

I lavoratori non ammetteranno regole restrittive solo regionali, come avvenuto in passato: tanti operatori sono pronti a scendere di nuovo in piazza. Le chat del settore sono molto calde in queste ore. Il tam-tam è forte». Ad alimentare lo scontento degli imprenditori è la possibilità che i giovani - che dal canto loro fremono per tornare alla normalità - dopo le 18 acquistino gli alcolici nei supermercati o negli alimentari, per poi assembrarsi ugualmente. D’altra parte, l’aspetto sanitario non va dimenticato, e i residenti dei comitati anti-movida (di Chiaia, Aniello Falcone e centro storico) sono pronti a eventuali segnalazioni alle forze dell’ordine di folle riunite. Dopo il richiamo della Regione di ieri, gli agenti sono pronti a intensificare controlli e sanzioni (come dimostrano le multe recapitate ai gestori anche in queste ore). Da un lato il bisogno di tornare al lavoro, dall’altro la necessità di sentirsi al sicuro. Hanno tutti ragione, insomma, e questo complica il puzzle.  

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Prima la speranza di ritornare al lavoro, in zona gialla. Poi la doccia fredda del possibile divieto d’asporto dopo le 18 dal 16 gennaio. Luca Di Martino, giovane ma già noto imprenditore del by night, spiega i nodi principali dello sconforto di queste ore: «Il rischio caos è completo - racconta - Ho 7 locali e ne ho aperto soltanto uno, il Jazzy in via Bisignano. Siamo di nuovo il capro espiatorio della pandemia, e questo non va bene. Sto diventando un avvocato a furia di studiare le normative anti-Covid. Mi preme chiarire che in zona gialla non esiste divieto di consumazione in luogo pubblico. Per quanto riguarda il dpcm allo studio, se il Governo vieterà l’asporto dopo le 18 noi di fatto non potremo lavorare. I problemi sono gli stessi di marzo, e nessuno li ha risolti. Del resto, siamo chiusi da tempo, ma il virus non è scomparso. Ho ricevuto 40mila euro di ristori, a fronte di 48mila euro di affitti totali al mese e circa 4mila euro di bollette. Tre proprietari su 6 dei locali che gestisco sono stati molto disponibili, ma abbiamo sacrificato 42 dipendenti, cui non abbiamo potuto rinnovare i contratti. A parte il tema ristori, c’è «l’ingiustizia del Codice Ateco - prosegue Di Martino - Non ne esiste uno del by night, e questo è gravissimo nel momento in cui con lo stop dell’asporto alle 18 si va a colpire di nuovo questa categoria». «Noi possiamo occuparci di sfollare i ragazzi nelle immediate vicinanze del nostro locale - aggiunge Romualdo Loiacono di Salumeria Alcolica - Ma non certo nel resto delle vie pubbliche». «Fino alle 18 saranno entrate 10 persone in totale - conclude Filippo Boccoli di 66 - Se ci vietano l’asporto non avrà senso restare aperti. Mi chiedo se e come ci risarciranno. Sarebbe stato più utile chiuderci e risarcirci, ma le istituzioni italiane evidentemente non hanno il denaro necessario».
 

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