Damiani, dopo 70 anni la fine della «dolce vita»

Damiani, dopo 70 anni la fine della «dolce vita»
di Antonio Menna
Lunedì 2 Agosto 2021, 23:59 - Ultimo agg. 4 Agosto, 08:34
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Il numero fisso della struttura, quello storico, risulta staccato. Al cellulare, dopo innumerevoli tentativi, una voce femminile dà la conferma. «Non siamo aperti, mi dispiace. E ormai a questo punto dell’estate non penso che apriremo. Ci siamo presi un anno sabbatico». È un’estate senza i Damiani, a Pozzuoli, e sembra davvero un segno triste del tempo che passa. Questo straordinario complesso turistico, sotto il Monte Nuovo, a ridosso dell’Averno, ha segnato la storia del tempo libero per i Campi flegrei, fin dagli Anni Cinquanta. Un’estate così, con i Damiani chiusi, ha un sapore amaro, anzi amarissimo. «Abbiamo avuto un po’ di problemi – dice, senza sbottonarsi troppo, Gianpaolo Damiani, uno dei proprietari -, prima col Covid, poi organizzativi. Abbiamo i nostri 20 dipendenti in cassa integrazione fino a ottobre. Poi vediamo cosa fare». In città, qualcuno parla di una crisi finanziaria, altri di un nuovo assetto dopo che si è consumata l’epopea degli storici quattro fratelli Damiani. Nel novembre scorso, la scomparsa di Enzo. Nel 2017, quella di Lucio. Erano i due fratelli che facevano da motore a questa struttura: vuoto difficile da colmare. «È un periodo di grandi incertezze – conferma Gianpaolo -, l’altro zio ha più di 80 anni. Diciamo che si tratta di una chiusura momentanea per capire come muoverci per il futuro». L’auspicio di tutti è che sia proprio così. Non è solo questione di economia e di posti di lavoro. È una vicenda che parla alle radici, all’identità. Il passato che nutre il futuro. 

E di passato, i Damiani sono antichi e profondi testimoni. Quello che oggi si chiama Complesso Turistico Averno è una struttura dai tanti volti: il ristorante, le piscine termali, gli impianti sportivi, la discoteca, il bar, il parco. E poi camere di hotel, residence; il tutto nel cuore della storia di Pozzuoli, l’ingresso agli inferi dell’Averno, Cuma a due chilometri, l’Arco felice lassù a vigilare, Lucrino più giù ad accogliere. Era il 1934 quando fu acquistato dalla famiglia Damiani un vasto appezzamento di terra fertile nella caldera flegrea. L’idea era di farne, come succedeva in quegli anni, un’attività agricola. Sui terreni c’era una casa colonica. L’intuizione di Carlo Damiani, un avvocato napoletano.

Con la guerra portò tutta la sua famiglia a vivere in quella sorta di fattoria. Moglie e quattro figli (Eduardo, Memo, Enzo e Lucio).

Furono proprio questi ultimi a utilizzare, per primi, gli spazi enormi del casale per le feste. Si chiamavano balletti, erano raduni di amici. La prima musica americana, i balli. Poi, dal 1955 in poi, arriva l’idea del circolo. Un complesso per amici. Una formula mai abbandonata, anche quando l’idea di turismo si è fatta sofisticata. I Damiani sono sempre rimasti un club. La tessera, l’appartenenza, il gruppo, quasi una elite. La discoteca è la prima cosa che si struttura. Una sala tipica degli anni Sessanta. I lenti, il ballo della mattonella. Ma anche il night, i cantanti più importanti, il piano bar, l’area concerti. Da lì al ristorante il passo fu breve. Un lento cammino. Ogni anno qualcosa in più, ma sempre nello spirito del Circolo degli amici. Dopo la ristorazione arriva la captazione delle acque termali, e quindi le piscine alimentate dalla pancia del Monte Nuovo. Si aggiungono campi da tennis, palestra, poi un camping-hotel: poche camere, alcuni miniappartamenti, per soggiorni un po’ più lunghi. 

Quel circolo di amici diventa impresa. E quella impresa diventa motore di territorio. I Damiani sono da subito, negli Anni Settanta, un epicentro di sussulti non sismici ma culturali, sportivi, del tempo libero. Nasce un torneo internazionale di tennis, poi uno di scacchi. Arrivano eventi culturali, convegni, che convivono anche con il lato commerciale. I matrimoni, le cerimonie. Guardano oltre loro stessi, i fratelli Damiani, e capiscono prima degli altri la sinergia territoriale crea valore. Ma Pozzuoli, a partire dagli anni Ottanta, prima piegata dal bradisismo, poi invasa da una furia da trattoria, da una febbre di locali per una sera, muta il suo volto e si orienta sul fritto e mangiato. Quel luogo esclusivo fatica a stare al passo, sente da una parte la concorrenza della movida di Napoli e dei lidi del Fusaro, dall’altra la fatica del tempo che passa, di formule che non si aggiornano, di una identità un po’ datata che a volte sembra spezzarsi tra il passato e il futuro. Fino a oggi, la difficoltà di ripartire dopo il Covid, i cancelli chiusi, la cassa integrazione, le piscine asciutte, un telefono staccato, la tristezza di un’estate flegrea senza i Damiani. 

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