Dispersione scolastica a Napoli, al via in 44 scuole il piano per riportare i ragazzi «on life»

Dispersione scolastica a Napoli, al via in 44 scuole il piano per riportare i ragazzi «on life»
di Giuliana Covella
Domenica 7 Novembre 2021, 09:00
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C'è chi dorme in classe, chi diserta le lezioni in dad e chi ha accumulato assenze perché non ha nessuno che possa accompagnarlo a scuola. Sono tante le storie di malessere interiore e di disagio fisico e psichico che hanno portato alla nascita di Aiutateci ad aiutarli, un protocollo-vademecum di prevenzione partito grazie all'intuizione di Teresa D'Aniello, dirigente scolastica dell'istituto comprensivo Don Bosco-Verdi di Qualiano, e adottato già in 44 scuole della Campania. «La pandemia e di conseguenza la dad sono state un'ulteriore forbice di divario sociale: abbiamo constatato che in ogni classe c'erano almeno tre o quattro alunni che manifestavano un disagio», spiega la preside. Come S., un bimbo di prima elementare, figlio di madre single e lavoratrice, che durante il lockdown era solo a casa, non parlava più con nessuno ed era sempre triste. «La mamma non poteva seguirlo, poi grazie ai docenti e alla nonna che ha segnalato il caso gli è stato fornito un computer per seguire le lezioni a distanza. Ora è tornato sui banchi e frequenta con profitto la seconda». 

Aiutateci ad aiutarli nasce dal progetto di formazione contro la dispersione scolastica Dispersi in rete per le scuole del cosiddetto Ambito 17, che raduna comuni popolosi come Frattamaggiore, Pozzuoli, Giugliano, Marano. «Pronto, signora, sono la professoressa di suo figlio, ho visto che ha fatto molte assenze, è tutto a posto?». Parte da questo campanello d'allarme l'intervento educativo per i minori che disertano i banchi. L'ultimo e più ricorrente caso è quello del collegamento internet che, nel periodo della dad, ha fatto impennare i dati delle assenze ingiustificate, accrescendo il disamore degli alunni verso la scuola. Da qui l'idea di un corso di formazione per dare a docenti e referenti scolastici per la dispersione nuovi strumenti per rimettere i ragazzi on life. A coordinare il lavoro Beatrice Dalia, mediatore familiare e scolastico, che spiega: «Ogni volta che un genitore non si presenta a un colloquio, non aiuta i docenti a riportare il figlio a scuola, non crede più alla scuola come prospettiva di realizzazione del figlio, c'è un conflitto con l'istituzione. Lo stesso quando un collega non collabora al progetto di recupero». È stata quindi individuata una procedura di azione comune contro la fuga dai banchi. Spesso, ad esempio, i servizi sociali non riescono a intervenire tempestivamente, non hanno a disposizione tutti gli elementi e questo blocca l'invio della segnalazione alla Procura minorile. Lo ha spiegato chiaramente Emilia Galante Sorrentino, pm presso il Tribunale per i minori di Napoli: se sul tavolo del magistrato arriva una mera scheda anagrafica, con la sola segnalazione di assenze, non è possibile capire il caso, e dunque porre in essere interventi mirati. 

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Tra le tante storie con cui i docenti si sono confrontati c'è quella di P., che frequenta la quinta elementare.

A scuola arriva tutte le mattine, a piedi, da solo e si nasconde dietro a un muretto a osservare compagni e insegnanti. Ma non entra. Un giorno decide di farlo, ma è irrequieto. Esce dall'aula, si arrampica, scavalca. A casa, si scoprirà, i genitori sono completamente assorbiti dal fratellino che a pochi mesi è quasi morto soffocato. Di conseguenza P. si sente invisibile e cerca di attirare l'attenzione. Altra storia di disagio è quella di G., iscritto al primo anno di scienze umane, ma mai andato a scuola. I docenti hanno provato più volte a contattare la famiglia ma invano. Si scopre poi che G. ha sempre avuto difficoltà, in seconda media è stato bocciato, passa le giornate davanti ai videogiochi. La mamma, casalinga, spiega che il figlio «non ne vuole sapere di andare a scuola», per cui loro si sono rassegnati: «Ha preso la licenza media, va bene così». Informata dai docenti sull'obbligo scolastico e sulla normativa che prevede di allertare i servizi sociali e, trascorsi 30 giorni, il Tribunale dei Minori, la donna assicura che convincerà il figlio a tornare a scuola. «In realtà questo non è mai avvenuto - spiegano i docenti - perché il ragazzo voleva frequentare una scuola professionale per diventare barbiere. Come lui sono tanti i ragazzi che vorrebbero imparare un mestiere». «Da qui - conclude Beatrice Dalia - il nostro sos alle istituzioni e alle famiglie: Aiutateci ad aiutarli. Vogliamo contagiare tutte le scuole, affinché l'approccio centrato sulla persona, e non sul nome in un registro, diventi la regola». 

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