Domenico Colletta, l'aspirante poeta che tappezza Napoli con i suoi versi: «La poesia mi ha curato»

Domenico Colletta, l'aspirante poeta che tappezza Napoli con i suoi versi: «La poesia mi ha curato»
di Ferdinando Gagliotti
Mercoledì 27 Luglio 2022, 18:31 - Ultimo agg. 28 Luglio, 08:06
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A Napoli si respira arte e questo non è mai stato un segreto. Musica, poesia, teatro, si percepiscono in ogni vicolo della città, ed è per questo motivo che da chiunque può nascere bellezza. Domenico Colletta ha 27 anni e da qualche tempo ha deciso di incastonare le proprie emozioni e i propri sentimenti in poesie, che condivide sui social e attacca ai muri della città, firmandosi con un nome d’arte con cui lo si può rintracciare su Instagram: “@sefossipoeta”. «In realtà la mia prima poesia - racconta lui - l’ho scritta a 18 anni per una ragazza. Lessi questa poesia in pubblico, durante un corso di teatro, su richiesta del nostro insegnante. Era talmente imbarazzante, piena di metafore, che i miei compagni scoppiarono a ridere. Così il prof mise allo stereo la canzone che Roberto Vecchioni dedicò a Fernando Pessoa, “Le lettere d’amore”, che recita: “Le lettere d’amore fanno sempre ridere, ma solo chi non ha mai scritto lettere d’amore fa veramente ridere”. Quella poesia la scrissi per dedicare il mio amore a quella ragazza, che era l’opposto dei miei versi: cinica, materialista. La mia poesia non la toccò minimamente. Anni dopo ho guardato l’“Attimo fuggente”, e mi sono rivisto nel ragazzo che trova qualcosa di più alto della gratificazione, dopo aver letto come me i suoi versi alla ragazza». 

«Anche il mio libro si intitola “Si fosse pueta” - continua Domenico -, perchè io cerco di esserlo ma le parole non bastano a esprimere ciò che ho nel cuore. Allo stesso tempo devo provare a rendere autentico ogni mio sentimento: c'è chi lo fa con la pittura, chi con la musica, io ho la necessità di modellare le parole. Con gli anni sono uscito dalla mia cameretta, ho iniziato a confrontarmi con gli altri e ho deciso di attaccare le mie poesie in giro per la città. Prima Mergellina, poi via Napoli, quindi via Toledo. Attraverso i social le persone mi contattano, mi dicono che hanno letto le mie poesie e a volte mi chiedono anche pareri sulle proprie. È una cosa che mi lusinga molto, perchè io sono soltanto un aspirante poeta. Tra quelli con cui mi sono confrontato c’è chi scrive testi elaborati, accademici. Io invece punto a essere più immediato, senza trascurare l’importanza della lingua e della grammatica napoletana. I miei poeti preferiti sono Ferdinando Russo, Salvatore Di Giacomo. Più di tutti Libero Bovio, soprannominato “O’Chiatton”.

Ironia della sorte, da piccolo mia madre mi vietava di parlare in dialetto napoletano perchè lo riteneva “sguaiato”. Ma il napoletano è la lingua del cuore, inutile negarlo». 

Oggi Domenico svolge servizio civile presso l’associazione Asso Gioca, oltre all’attività di animatore alle feste di bambini. L’aspirante poeta, in cuor suo, vorrebbe che i suoi versi si trasformassero in qualcosa di più: «Spero che questa possa diventare una vera occupazione. Faccio anche spettacoli teatrali - collabora con l’associazione culturale Arte Flegrea -, in cui recito poesie ma anche sketch comici musicati per alleggerire la cosa. I miei spettacoli sono a ingresso libero e chi vuole può acquistare il mio libro all’ingresso. Ad oggi, sono state vendute CIRCA 200 copie: penso sia un grande traguardo, nell’era del consumismo digitale. Cercare di “vendere” una poesia in questo presente sembra quasi un gesto rivoluzionario, in questo senso sono anacronistico. Anche mio padre mi diceva che con la poesia non si mangia, perchè è una persona pragmatica, ma quando ha letto una poesa che ho scritto per lui si è addirittura commosso ed è diventato il mio fan numero uno». 

 

La poesia è stata anche un’antidoto, un’ancora di salvezza in un momento buio della vita di Domenico. «Circa tre anni fa ho sofferto di depressione. Nel periodo peggiore della mia esistenza ho riscritto tutte le mie poesie, ho dato loro dei nomi e le ho inserite nel libro. La poesia mi ha aiutato a rialzarmi: questo libro per me è un monumento. L’ho diviso in tre capitoli, a cui associo tre posti di Napoli: il primo è Posillipo, come una passeggiata romantica con la tua ragazza in cui credi che vada tutto bene. Il secondo è Nisida, posto per me più malinconico, dove c’è il carcere e le cose lasciate a metà come l’Italsider. Lì ho inserito le poesie più struggenti. Il terzo è piazza Ferrovia, e attenzione: non piazza Garibaldi. Qui vi sono i treni, gli addii, i senzatetto. Ma credo che in ogni posto ci sia un po’ degli altri due».

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