«Galleria Umberto I di Napoli, tutti i lavori spettano ai residenti»

«Galleria Umberto I di Napoli, tutti i lavori spettano ai residenti»
di Gennaro Di Biase
Venerdì 14 Gennaio 2022, 12:00 - Ultimo agg. 15 Gennaio, 12:14
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Il nodo principale da sciogliere per il rilancio della Galleria Umberto I riguarda le ingombranti impalcature che, sia all'esterno che all'interno, ingabbiano il primo salotto di Napoli dal lato di via Toledo. A chi spetta fare i lavori e quindi eliminarle? La risposta alla domanda si è fatta sempre più delicata negli ultimi 8 anni (Salvatore Giordano fu ucciso da un fregio caduto dalla Umberto I nel luglio 2014), tanto da finire sulle scrivanie dei giudici, e al centro di un contenzioso tra Comune e privati la cui soluzione sarà l'argomento principale del tavolo convocato la prossima settimana in Prefettura. Nell'attesa dell'importante incontro tra il sindaco Manfredi e i proprietari, il Mattino ha messo le mani su un documento del 30 dicembre 1886, scritto 5 anni prima dell'inaugurazione della Umberto I e siglato a Palazzo San Giacomo davanti al «Notaio Certificatore Reale Francesco Scotti di Uccio» dalle parti costituite: «Il sindaco di Napoli, commendatore Nicola Amore» da un lato. E dall'altro i costruttori della Galleria, il genovese «avvocato Tito Orsini», nella «qualità di presidente del Consiglio di Amministrazione dell'Impresa dell'Esquilino con sede in Torino», accompagnato da i «signori Enrico Deserti e Giuseppe Fantoni». 

Prima di svelare i contenuti del documento, è importante ricordare che, al contrario della Vittorio Emanuele di Milano, a spesa e gestione pubblica, la costruzione della Umberto I fu ripagata in gran parte con le vendite ai privati degli appartamenti ricavati all'interno.

Ma, prima di procedere, delineiamo bene le parti che sottoscrissero il testo. «Nel 7 novembre 1885 - si legge nel documento - i signori Deserti e Fantoni, in seguito a precedenti trattative, offrivano al Municipio di Napoli di assumere solidamente con la Società Impresa dell'Esquilino la esecuzione dell'opera di bonifica e risanamento del Rione di Santa Brigida» e «di costruire nell'occasione della opera una Galleria di rincontro al Teatro di San Carlo. Fra i patti e le condizioni della detta offerta vi erano quelli che l'opera doveva essere concessa ed eseguita dietro analoga concessione del Governo, da richiedersi senza sua responsabilità a cura del Municipio», «assumendosi dai concessionari la esecuzione di tutte le espropriazioni, demolizioni e lavori stradali e ogni accessorio alla piena attuazione del piano». I «concessionari» sono in pratica gli esecutori materiali della Galleria: l'Impresa Esquilino, Deserti e Fantoni. Il Municipio «in conformità del piano - riassume il verbale - avrebbe dovuto pagare ad essi concessionari la somma di 2milioni e 900mila lire», «in corrispettivo degli obblighi che verrebbero assunti dai concessionari, a titolo di concorso alla spesa della intera esecuzione dell'opera». 

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Passiamo ai contenuti, che fanno luce sulle competenze della manutenzione. «Restano obbligati i concessionari alla manutenzione della decorazione interna ed esterna della Galleria in ogni tempo - si legge nell'articolo 24 a pagina 17 - sia per quanto riflette il prospetto del piano terraneo, quanto quelli dei piani superiori che rispondono ad abitazione con veduta nell'interno della stessa. Tale decorazione dovrà essere in ogni tempo mantenuta a carico dei concessionari o loro aventi causa». In sostanza, i privati che acquistarono dalla Esquilino. «Il Municipio avrà facoltà di richiedere in linea amministrativa l'adempimento di quanto è detto sopra - prosegue il documento - e di eseguire il lavoro in danno, in caso di inadempienza. Tale obbligo dovrà per patto espresso far parte dei possibili contratti di alienazione degli stabili da parte della Società dell'Esquilino». Nel documento (di 22 pagine) ne manca una. A parte questo giallo, è importante sottolineare che nello scritto vengono citate le «norme di un regolamento speciale», la cui scoperta potrebbe portare nuova e diversa luce sulle competenze. L'ultima parola, in ogni caso, sarà scritta dai giudici. 

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