“La maschera è libertà”, la bottega napoletana della commedia dell’arte

Robin Summa riprende il lavoro del padre: «Erano gli stessi napoletani a volerlo»

Robin Summa riprende il lavoro del padre «erano gli stessi napoletani a volerlo»
Robin Summa riprende il lavoro del padre «erano gli stessi napoletani a volerlo»
di Giorgia Verna
Mercoledì 4 Gennaio 2023, 18:10 - Ultimo agg. 5 Gennaio, 07:21
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Robin Summa è nato a Parigi, ma ormai è napoletano d’adozione «sono stato anche battezzato dal femminiello, come vuole la tradizione» commenta in una risata coinvolgente e gioviale, mentre è appoggiato all’uscio di quella che un tempo fu la bottega di suo padre. Aspira e inspira un colpo di sigaretta il cui fumo sa di cuoio umido, lavorato a mano, quello che Robin utilizza per creare le sue maschere per la commedia dell’arte, uno degli ultimi ancora a produrle.

«Questa bottega è il frutto di un lungo percorso iniziato da mio padre, Pierangelo Summa, negli anni ‘60. Lui e la sua famiglia facevano parte di varie compagnie di burattini per il teatro. All’inizio lavoravano prevalentemente nel nord Italia e poi in tutta la penisola diffondendo questa tradizione. In seguito, mio padre si è cominciato ad occupare delle maschere di teatro collaborando con registi, storici e intellettuali degli anni ’70 tra l’Italia e la Francia.

Tra loro anche il grande Dario Fo».  

Una tradizione che, alla morte del padre nel 2015, Robin non ha voluto perdere. «Ho sempre visto papà lavorare con queste maschere, mentre faceva ricerche e studi sulla loro tradizione. Nel 2018 ho deciso di seguire la sua strada e riportare questa tradizione a Napoli. Molti cittadini ne sono stati contenti. Si fermavano davanti alla bottega felici che fosse ancora aperta, ricordando il lavoro di mio padre».

Napoli e la commedia dell’arte

«Noi facciamo maschere in cuoio per la commedia dell’arte che nasce, sotto questa forma, nel Cinquecento e si diffonde un po’ dappertutto in Italia. La commedia dell’arte a Napoli veniva dalla tradizione delle farse atellane». La maschera per eccellenza napoletana è ovviamente Pulcinella, ma sono famose anche il Capitano, Tartaglia e Coviello «che è una maschera calabrese, ma Salvator Rosa la indossava nel Seicento, quindi è rimasta molto importante a Napoli».

Sono proprio loro i volti maggiormente realizzati nella bottega, maschere destinate ad attori, usate per fare la commedia dell’arte e anche esercizi di recitazione: «La maschera permette, infatti, di allenare il corpo, la voce, l’improvvisazione».

Robin, come suo padre, vende maschere in America, Canada, Svizzera, Inghilterra, Francia e lavora con grandi interpreti e scuole di teatro. «Alla morte di mio padre, ci sono stati attori che hanno voluto riportare a Napoli le maschere che lui aveva realizzato per loro. Se si guarda attentamente, si vede non solo la firma originale di mio padre, ma addirittura il sudore dell’attore di cui è impregnato il cuoio», dice mentre solleva con due dita la maschera. I solchi scuri del cuoio sono rigati da goccioline che mostrano all’osservatore la sua vita, il suo passato, la sua storia.

«“La maschera è libertà”, diceva mio padre, per questo abbiamo chiamato la bottega così. La maschera libera chi la indossa, ma anche i rapporti tra le persone. Era un momento di comunione sociale, nel carnevale ci si scambiava i ruoli, i poveri diventavano ricchi e viceversa e attraverso la maschera avveniva un vero e proprio riscatto sociale. La maschera non nasconde, rivela».

Oggi anche suo figlio cerca di rivelare al mondo la bellezza della cultura partenopea «vorrei ricordare ai napoletani questa importante tradizione». Robin Summa prende un ultimo tiro di sigaretta, un sospiro liberatorio che odora di passione, quella con cui cura le sue maschere, passando le dita tra i calchi ancora lavorati dalle mani del padre, tra i fogli dei suoi vecchi appunti, base per i libri che non ha mai potuto pubblicare: «Vedi babbo! Finalmente l’abbiamo pubblicato questo libretto. Tu non me lo avevi chiesto … però io ci tenevo».

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La bottega dei Summa è la storia d’amore di un padre e un figlio, di una tradizione lunga secoli, di una passione instancabile per il teatro e di un orgoglio partenopeo che sa di libertà.

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