Il lungomare di Napoli
e la città che divora i suoi simboli

di Vittorio Del Tufo
Martedì 26 Gennaio 2021, 07:00
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Il dibattito in corso sul ripristino del doppio senso di marcia sul lungomare dice molto sul destino di questa meravigliosa e tragica città. Che deve ripartire ogni volta da zero, come in un grottesco gioco dell'oca. Che deve rinunciare alle scelte urbanistiche più felici, più innovative, perché non è in grado di sostenerle a causa della sua debolezza di fondo, una debolezza strutturale. Che è costretta, in definitiva, a rinunciare ai suoi stessi simboli e sogni di modernità, perché la sua fragilità di sistema non le consente di dialogare con il futuro, ma la spinge inesorabilmente verso il passato.

Lasciamo agli strateghi dei flussi di traffico le considerazioni sull'opportunità di ripristinare il doppio senso di marcia in via Partenope, sui vantaggi e sugli svantaggi che tale decisione porterebbe con sé. Prendiamo invece atto di una verità che è sotto gli occhi di tutti: una città profondamente scassata non può concedersi il lusso nemmeno di mantenere pedonalizzato il suo lungomare. Tanto è vero che, di fronte al disastro della Galleria Vittoria - un disastro antico, che nasce da anni di ignavia e di manutenzione farlocca - oggi ci vediamo rassegnati non solo a rinunciare alla pedonalizzazione, ma anche a mettere nel conto il ritorno delle auto in entrambi i sensi di marcia: un ritorno al passato, alle cartoline degli anni 80, che ha il sapore amaro di una sconfitta. Per tutti, non solo per il sindaco della città, ormai al tramonto della sua stagione.

Una resa totale. Che va al di là delle colpe, pur gravi, di un'amministrazione che in tutti questi anni ha inseguito l'estetica dei simboli, più che il rigore dei risultati. Deviando progressivamente la propria attività verso una dimensione puramente estetica, simbolica appunto, anziché misurarsi con la complessità dei problemi e provare magari a risolverli. Ma anche i simboli vanno maneggiati con cura, soprattutto in una città complessa come Napoli. 

Così un'intuizione felice, che per una volta aveva messo (quasi) tutti d'accordo - restituire un luogo simbolico della città alla fruizione dei cittadini, e non solo degli automobilisti - è andata a sbattere contro la fragilità strutturale di una metropoli profondamente malata, costretta a tagliare con un colpo di forbice, come se fosse una cosa normale, il principale asse di scorrimento da est a ovest: la Galleria Vittoria.

Era inevitabile che il disastro della Galleria, alla fine, rovinasse anche la favola del «lungomare liberato».

Pedonalizzare pezzi di città è facile, ma inquadrare le pedonalizzazioni dentro un disegno strategico di mobilità è tutt'altra cosa. Liberare il lungomare e progettare il futuro, offrendo alternative praticabili ai cittadini, dovevano andare di pari passo. Non è accaduto, e ne paghiamo il prezzo ogni giorno.

La città madre e matrigna divora tutto, anche i suoi stessi slanci, e i simboli in cui aveva mostrato di credere: li priva di ogni disegno, di ogni prospettiva o idea di sviluppo, e li restituisce a una dimensione puramente funzionale. D'altra parte, di cosa ci meravigliamo? Cosa ne è stato del «lungomare liberato» dopo la svolta della pedonalizzazione? Le continue e scellerate concessioni al caos e alla deregulation selvaggia hanno trasformato quell'area - la promenade e il salotto della terza città italiana - nello specchio di un paesaggio urbano ingovernabile e ingovernato.

Un passo avanti e due indietro, nella città immersa in un eterno vorrei ma non posso. A questo punto non ci meraviglieremmo se, dopo aver riaperto il lungomare alle auto, magari in entrambi i sensi di marcia, il Comune prendesse in considerazione anche l'idea di riaprire al traffico piazza del Plebiscito, l'altra grande area pedonalizzata grazie alla decisione, all'epoca rivoluzionaria, del primo Bassolino sindaco ma da allora abbandonata a sé stessa, senza uno straccio di idea, separata e distante dal corpo vivo della città.

E infatti, eccola, puntuale, l'opzione Plebiscito, nascosta nei cassetti di Palazzo San Giacomo e rispolverata dai tecnici del Comune dopo aver preso atto che per la riapertura del tunnel della Vittoria ci vorranno almeno diciotto mesi: uno studio predisposto nel 2015 prevede, in caso di difficoltà ingestibili, proprio la scelta estrema, definitiva: il ritorno delle auto al Plebiscito. Sopraffatti dalle emergenze, e abituati a veder tornare indietro le lancette della storia, finiremmo con il considerare normale anche quest'ultimo affronto.

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