Diego Maradona, quel sole azzurro che mai tramonta su Napoli

Non è vuota nostalgia: è il passato che si salda con il presente e diventa il più forte stimolo

Il murales di Maradona ai quartieri spagnoli
Il murales di Maradona ai quartieri spagnoli
di Francesco De Luca
Martedì 15 Novembre 2022, 00:23 - Ultimo agg. 16 Novembre, 10:35
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Caro Diego, i cori del Maradona - il tuo stadio, la tua casa - sono sicuramente arrivati fin lassù. Li senti cantare quegli anziani a cui facevi battere il cuore e quei ragazzi che ti amano anche se non hanno mai assistito ai tuoi show sul prato di Fuorigrotta? La capolista se ne va. Quanto orgoglio in questo primato e in questo coro.

Certo, non è la stessa voglia di riscatto sportivo e sociale che animava te, quella con cui contagiasti la squadra e la città in un’epoca che mai sentiremo lontana o finita perché le tue tracce sono dovunque. Ma c’è, oggi come allora, la città che spinge la squadra. 

Domenica scorsa, dopo la vittoria sull’Udinese, centinaia di tifosi - di te, di questo Napoli, di quel Napoli - hanno voluto renderti omaggio davanti al Murale dei Quartieri spagnoli. Ti hanno abbracciato sventolando le bandiere e cantando, e reso partecipe di questo magnifico momento. E tu c’eri, ci sarai sempre. La maglia numero 10 l’hanno ritirata 22 anni fa, eppure noi la vediamo dovunque. Non è un’allucinazione. Le indossano tifosi e turisti per strada, mischiate a quelle di Kvara, Osi, Kim. Quanto ti sarebbe piaciuto questo ragazzone sudcoreano che scrive parole di scuse ai tifosi dopo l’errore costato un gol.

Chi ti ha criticato e offeso in vita, ma anche dopo il 25 novembre di due anni fa, non comprenderà mai la magia della tua presenza in questi giorni belli, la relazione metafisica tra te e questi azzurri che ci fanno sognare. Otto punti in più del Milan, proprio quello che fu il vostro grande avversario negli anni Ottanta. Un mese fa, dopo i sei gol all’Ajax, Spalletti disse: «Maradona sarebbe orgoglioso di noi». Delle vittorie, del gioco, del carattere, della passione che questo gruppo mette in ogni partita. Quando andasti via, era la primavera del ‘91, cominciò una crisi profonda per il Napoli. Rimettesti piede al San Paolo quattordici anni dopo per l’addio al calcio del tuo amico del cuore Ciro Ferrara. La squadra era in serie C e si preparava allo spareggio promozione, perso poi ad Avellino. Il ritorno a quei fasti, da te sempre auspicato, c’è finalmente stato. La dimensione oggi è superiore, nei numeri, rispetto a quel Napoli di cui eri il leader: 15 punti nel girone Champions e 41 in campionato dopo 15 partite. È un nuovo capitolo ma nessuno ha voltato le pagine della tua storia. Non è vuota nostalgia: è il passato che si salda con il presente e diventa il più forte stimolo

La gente che ti ama non dimentica - come c’è scritto sulle t-shirt col tuo volto in vendita sulle bancarelle - e ti stringe sempre in un abbraccio, come volesse proteggerti dal male che ti hanno fatto.

Ti mette, con la fascia al braccio sinistro e la 10 azzurra, idealmente davanti ai giocatori e a Spalletti, come nel quadro del “Quarto Stato”, il simbolo della rivoluzione sociale. E tu una rivoluzione qui la facesti, chiedendo a Ferlaino il supporto necessario per vincere, cioè quei giocatori arrivati tra l’85 e l’86 decisivi per gli scudetti e la Coppa Uefa. Un ciclo che De Laurentiis e il suo staff si augurano di aver aperto nella scorsa estate, con una campagna acquisti che ha prodotto già straordinari risultati. Proprio a metà degli anni Ottanta il Napoli fece il salto di qualità sul piano manageriale, affidandosi ad Allodi, Marino e Moggi, i dirigenti più bravi. In questi mesi De Laurentiis e Giuntoli hanno confermato di cosa sono capaci. 

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Ti sarebbe piaciuto essere l’ambasciatore di questo Napoli, il Capitano del club anche senza la fascia. Non c’è stato tempo per firmare un contratto con il presidente. Ma a che sarebbe servito, poi? Sarai Capitano finché ci sarà un pallone a rotolare nel tuo stadio, undici azzurri a correre e lottare, spalti con bandiere sulle quali è dipinto il tuo volto.

Lo rivedremo durante il Mondiale, il primo senza di te. Avevi 10 anni, eri un bambino povero di un quartiere simbolo del degrado di Buenos Aires quando dicesti: «Il mio sogno è giocare e vincere il Mondiale». Saltasti quello del ‘78, la Coppa del sangue vinta dall’Argentina. Ti fermò l’Italia in quello dell’82. Trionfasti nell’86 in Messico, con una squadra che pendeva dai tuoi ordini e dal tuo sinistro, la Seleccion costretta a comprare in un emporio le maglie azzurre da indossare nella sfida con l’Inghilterra, quella che consegnasti alla storia con un colpo di classe e un inganno. E poi il ‘90 e il ‘94, la sconfitta nella finale di Roma (con la vergogna dei fischi degli spettatori italiani) e l’espulsione dagli Usa per doping. Commissario tecnico dell’Argentina buttata fuori dal Mondiale 2010 in Sudafrica, accettasti quattro anni fa l’invito di Putin in Russia come ospite d’onore e lo obbligasti a fare anticamera. «Ditegli che io la mattina dormo». Non c’è dubbio da quale parte saresti stato in questa guerra.

 

Il tuo amico Infantino, presidente della Fifa, ti onorerà in Qatar, dove non ci sarà l’Italia: avresti certamente rimproverato Mancini, l’avversario a cui consegnasti a Genova l’ultima tua maglia del Napoli, di colore rosso, il 24 marzo del ‘91, prima della squalifica. L’omaggio dei potenti del calcio non sarà mai profondo e autentico come quello che ti dedicano il tuo Napoli e la tua Napoli che ti sentono ancor più vicino da due anni. Vivo. È la forza del cuore. 

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