Napoli, la verità di Awa, ristoratrice del Vasto: «Ecco perché Salvini ha ragione»

Napoli, la verità di Awa, ristoratrice del Vasto: «Ecco perché Salvini ha ragione»
di Giuseppe Crimaldi
Giovedì 4 Ottobre 2018, 10:30
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«Sì, io ieri c'ero e ho voluto stringere la mano a Salvini. Quando sono riuscita a salutarlo gli ho anche detto: Bravo! Vai avanti così, ministro: perché chi arriva in Italia deve comportarsi da persona perbene. E chi sbaglia è giusto che paghi». Nel cuore del Vasto, alla fine di via Milano, poche decine di metri prima della chiesa del Buon Consiglio - dove martedì mattina il ministro dell'Interno ha voluto incontrare il parroco, don Vincenzo Balzano - c'è un ristorantino sul quale, non si sa bene perché, campeggia una vecchia insegna: «Bianchi Bianchi». In quei due vani, per tutto il giorno, si servono piatti tipici senegalesi, e dietro ai fornelli c'è lei: Awa Tague, 56 anni portati alla grande, e da 27 residente a Napoli. La sua è una storia da raccontare.
 
Ma cominciamo dalla fine. Tornando a due mattine fa: quando Awa si è improvvisamente ritrovata di fronte il numero uno del Viminale, così, quasi per caso. «Non ne sapevo nulla, poi ho sentito un trambusto - racconta - C'era una gran folla, ma io sono riuscita ad arrivare accanto a lui. Gli ho stretto la mano, poi mi sono fatta coraggio: Salvini, gli ho detto, fai bene a dire che tra gli immigrati chi spaccia droga o viola la legge deve andar via dal Paese. Perché i primi a soffrire per le conseguenze commesse da questi delinquenti, e anche qui purtroppo ce ne sono, siamo proprio noi. Noi, che viviamo ormai con i documenti in regola, e chye lavoriamo onestamente. Lui - prosegue - mi ha fissata negli occhi e, stringendomi forte la mano mi ha detto: Hai ragione, brava.

Il profumo dei cibi speziati invade l'aria. Dietro ai fornelli in cui ribolle il thiebou dien - piatto nazionale del Senegal a base di riso rosso cotto nel sugo in cui è stato precedentemente cucinato il pesce con aglio, cipolla, concentrato di pomodoro, peperoncino e aromi - Awa Tague sorride ricordando il suo arrivo in Italia.

«Sbarcai con un regolare visto all'aeroporto di Fiumicino. Allora ero sposata con mio marito, dal quale mi sarei separata poco dopo. Arrivai a Roma grazie a un permesso richiesto dal Vaticano, io sono di fede cristiana e allora mio zio Tonton Henridiaye, che lavorava nell'ambasciata senegalese presso la Santa Sede, ci diede una grossa mano. Fu Papa Wojtyla a far propria quella richiesta, e io ancora oggi lo ricordo nelle mie preghiere».

Da allora a oggi sono trascorsi vent'anni. Awa, con un regolare permesso di soggiorno, poco dopo si trasferisce a Napoli: «una città bellissima - dice - piena di gente stupenda. E da allora di qui non sono voluta più andar via. Oggi questa è casa mia».

E qui a Napoli nascono i suoi due figli: Hadj, che oggi ha 25 anni, e Mamadou Moustapha, 23enne. Il primogenito oggi vive a Parigi, dove studia all'Università. Per Moustapha, invece, le cose sono andate diversamente.
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