San Martino, il belvedere di Napoli deturpato da cantieri e bivacchi

San Martino, il belvedere di Napoli deturpato da cantieri e bivacchi
di Gennaro Di Biase
Venerdì 3 Dicembre 2021, 00:00 - Ultimo agg. 4 Dicembre, 08:37
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La Sibilla della Cona dei Lani (uno dei primi presepi monumentali al mondo, esposto nel 1517 a Sant’Eligio) indica il mistero eterno dell’avvento nella nuova e bellissima sala aperta quest’anno nella Certosa. Col suo profilo spigoloso, inafferrabile quanto desiderabile, la Sibilla indica una Madonna col Bambino la cui vernice, dando un’incredibile prova di resistenza, è rimasta incollata alla statua per oltre mezzo millennio. Chi vuole conoscere il passato di Napoli deve fare capolino qui, nel Museo della storia della città sulla collina vomerese. Se ci riesce. Le transenne che oscurano il belvedere spaccato del piazzale, i barbacani sui locali degli ex corallai, i bicchieri dei movidari incivili frantumati sulla Pedamentina patrimonio Unesco stuprata dai graffiti, i lampioni trasformati in bar dalle bottiglie di spumante che gli incivili di cui sopra ci hanno conficcato dentro: il degrado, nella Napoli intorno ai musei, è l’opera d’arte compresa nel pacchetto: fa parte dell’offerta turistica. In un’unica esposizione convivono la bellezza e il brutto, il grano e la pula, l’arte e l’incuria. Gli opposti a San Martino stanno mano nella mano, come due innamorati più o meno disfunzionali.

I porticati calmi della Certosa mettono in pace col mondo. Nelle sale, poi, si scopre il gigantesco passato di cui la Napoli di oggi è la riduzione: la Tavola Strozzi, le carrozze, la Cona dei Lani (cioè, la corporazione degli antichi macellai napoletani). Sebbene non tutto sia visitabile - come rivelano i dipendenti, «occorrerebbe il doppio di lavoratori per tenere aperte tutte le sale. Rimediamo con la rotazione, organizzata se serve sulle esigenze dei visitatori. Le sale sono più di 100, i custodi 40» - il museo è un corso di storia della città. Compresa l’antica Colonna Infame della Vicaria, il monumento “della vergogna” davanti al quale venivano spogliati e percossi debitori e criminali.

Le punizioni corporali sono per fortuna appassite nei secoli, ma la vergogna a San Martino si è trasferita nella devastazione che opprime il piazzale. San Martino, simbolo di Napoli, è uno dei posti più degradati della città. Anzi, San Martino è il posto in cui il degrado e il simbolo si confondono e collassano continuamente uno nell’altro. Intorno alle travi di legno infradiciate che sorreggono i locali a pezzi del Demanio Regionale di Sant’Elmo, incontriamo un pool di tecnici per un sopralluogo (voluto dalla direzione del Polo Museale). «Siamo in una fase iniziale, impossibile fornire tempistiche. Dobbiamo pensare a come entrare in quegli spazi pericolanti», dicono gli ingegneri. Già. Sono passati “solo” 7 anni dall’installazione dei barbacani. Le transenne che ingabbiano il belvedere, invece, risalgono al lockdown, e sono il deposito di sanpietrini piovuti da chissà dove. L’ex giunta promise un report in merito, ma niente. San Martino è il mistero della diffidenza delle istituzioni. Un groviglio di competenze che si risolve nella devastazione.

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La collina dell’arte vomerese non è solo degradata, è abusata dal degrado. È la più bella della classe, imbruttita da una vita che negli anni le ha concesso sempre meno: è stata tradita e dimenticata. La mancanza di servizi per turisti, nel percorso verso la Certosa, è infatti un postulato euclideo. Neppure Google maps funziona da queste parti. Ivano Zanchi qui si è inventato “La sosta del viandante”, un piccolo locale su via Caccavello che offre ai vacanzieri stanchi bibite e soprattutto la toilette a «1 euro». «La segnaletica l’ho fatta io - racconta - e ho allestito bagni separati per uomini e donne. Faccio cambiare i pannolini. Quest’area verde adiacente a Sant’Elmo è della Regione - aggiunge indicando un cancello devastato - Avevano messo i cartelli per la riapertura, un anno fa, tutto qua attorno, ma si sono deteriorati e il parco non ha mai aperto». In alternativa, al castello e al Museo ci si potrebbe arrivare salendo la Pedamentina. Ma anche qui, la bellezza possibile del panorama e il degrado reale della terra sotto i piedi sono una cosa sola. Tra i graffiti e dissesti che deturpano il muro di cinta e i gradoni patrimonio Unesco, è spuntata una catena nuova di zecca usata per chissà cosa da chissà chi. È inspiegabile, come l’incuria della Montmartre napoletana, che resiste quasi come la vernice sulla scultura della Vergine. Il “quasi” è il fragile regime della speranza in un presente migliore.

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