Fase 3 a Napoli, la resa dei negozi: «Chi è aperto pensa di chiudere»

Fase 3 a Napoli, la resa dei negozi: «Chi è aperto pensa di chiudere»
di Paolo Barbuto
Venerdì 26 Giugno 2020, 00:00 - Ultimo agg. 13:33
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Siamo andati a caccia di serrande abbassate e di sconfitte commerciali, ci siamo ritrovati al centro di un racconto di resistenza ad ogni costo, di voglia di rialzarsi anche sotto le macerie che la pandemia ha lasciato sopra i negozi.
Dal Vomero a Chiaia a Toledo ci siamo imbattuti in poche chiusure ma abbiamo intercettato tante storie di tenacia e resistenza, anche se, alla fine, quel che ciascuno ci ha detto è che l’entusiasmo non ha tanta benzina nel motore: se in un paio di mesi la situazione non cambierà il susseguirsi delle chiusure sarà deflagrante.

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Al Vomero il lockdown ha mietuto una vittima illustre, lo storico negozio Sga di via Tino da Camaino non ha rialzato le serrande dopo l’emergenza. Resta aperta l’altra sede, più recente, a via Orsi ma le sei vetrine con ogni tipo di gadget e gioco davanti alle quali c’era da aspettare anche ore in fila, sono sbarrate. Sulle serrande il biglietto lasciato sopo l’ultima chiusura «per il momento non si conosce la data di riapertura», data che, evidentemente non è ancora arrivata e forze non arriverà mai. Proprio a via Orsi dove c’è l’altra sede dello storico negozio, ci sono un paio di serrande abbassate e mai più riaperte, un altro negozio chiuso definitivamente sta in via Kerbaker, un altro in via Massimo Stanzione, si contano sulle dita di una mano, per fortuna, anche se raccontano storie di sconfitta di fronte alla crisi.

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Enzo Perrotta è presidente del Centro commerciale Vomero Arenella, è il cuore di un vastissimo gruppo social sul quale viaggiano notizie su possibili sviluppi, su decreti, richieste di finanziamenti, possibilità di sostegno: «La verità è che adesso non riusciamo più ad avere fiducia nelle promesse del Governo sul nostro futuro. Fin dal primo momento ci siamo scontrati con le banche che non aderivano facilmente all’idea del prestito garantito, poi siamo passati alla speranza di fondi, di sostegno, per adesso stiamo lottando solo con le nostre forze e non è detto che riusciremo a sopravvivere tutti».

Perrotta parla al centro della strada, ogni commerciante che passa lo saluta e chiede novità, lui allarga le braccia, non ci sono novità, c’è solo da aspettare. «Già, ma fino a quando potremo aspettare?», la domanda è retorica e cade nel vuoto. Anche qui, come nel resto della città la stagione fissata per scoprire cosa sarà del commercio è l’autunno.

A via Toledo i negozi chiusi sono una decina, per la maggior parte sembrano strutture nelle quali sono in corso lavori, probabilmente si tratta di cessioni, di negozianti che hanno lasciato spazio ad altri negozianti. Anche a via Chiaia la situazione è analoga: una cioccolateria ha dato forfait, anche un piccolo bistrot nei pressi del Metropolitan ha abbassato la saracinesca nell’ultimo giorno prima del lockdown a marzo e non l’ha più rialzata, i ragazzi del bar di fronte sono straniti: «Non capiamo il perché». A dire la verità le vetrine vuote sono tantissime a via Chiaia ma la maggior parte era già stata abbandonata prima dell’emergenza sanitaria, perché la crisi del commercio non nasce con il Covid-19 ma ha radici molto precedenti. 
 


Anche via dei Mille è un susseguirsi di negozi regolarmente aperti anche se poco frequentati. Un paio di insegne sono cancellate ma anche qui ci sono lavori in corso, segno di rinnovamento o di cambio di gestione, insomma, roba che con la crisi sanitaria non c’entra. 

Anche lungo le strade ricche di Chiaia c’è chi mostra preoccupazione e prevede chiusure a ripetizione senza un drastico cambio di rotta. A piazza Dei Martiri, però, davanti alla sua “Caffettiera”, Guglielmo Campajola mostra i muscoli del combattente e prova a farsi condottieri del consorzio Chiaia: «Io intorno a me non vedo chiusure “importanti”, è vero che qualche negozio non ha riaperto, ma si tratta di persone che s’erano avvicinate da poco al mondo del commercio, non erano abituate a questo mondo. I miei colleghi storici, invece, sono tutti aperti, e ciascuno lotta senza fermarsi».

L’idea che l’autunno possa essere devastante manda su tutte le furie Campajola: «No, non sono d’accordo e non condivido queste idee. Se pensiamo che tutto andrà male succederà proprio così, se invece investiamo su noi stessi, le cose non possono che cambiare in positivo. Io, ad esempio, ho deciso di riprendere il “cenacolo Belvedere”, l’ho fatto proprio adesso perché questo è il momento di scommettere sul futuro, di ricostruire quel che sta per crollare».
 

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