Sangue sul Lungomare di Napoli, ristoratori tra rabbia e bocche cucite per paura di ritorsioni

Sangue sul Lungomare di Napoli, ristoratori tra rabbia e bocche cucite per paura di ritorsioni
di Giuseppe Crimaldi
Lunedì 13 Novembre 2017, 10:45
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Tacchi alti e gonne corte. Occhi truccati dal rimmel e dai cosmetici venduti sulle bancarelle a buon mercato - come il patchouli, che inonda ascelle e colli dei ragazzini che sciamano dai Quartieri spagnoli e dal Pallonetto di Santa Lucia verso il lungomare. Tra effluvi di improbabili aromi e serate di divertimento a buon mercato, consumate su una delle più splendide cornici naturali del mondo, regna il silenzio.

I titolari dei locali di via Partenope scelgono il silenzio. Forse temono ritorsioni. «Meglio non parlare», risponde via whatsapp - dopo un'interminabile trattativa mediata dai presenti nel ristorante - uno dei principali titolari degli otto locali più prestigiosi della zona. Lui si trova a Milano. E da lì ci fa sapere che non intende né commentare in prima persona, né tantomeno attraverso il proprio portavoce presente sul posto, i fatti di sangue accaduti a due passi dall'entrata della pizzeria. Paura? Chissà. Ma paura di chi? E di che cosa? Fatto sta che dopo l'ennesima violenza consumata a ridosso di uno degli esercizi commerciali più esclusivi della corniche - come i francesi definiscono il lungomare - e cioè in uno dei terminali del turismo internazionale che attrae ancora oggi, a novembre, frotte di turisti e di stranieri, c'è chi resta omertoso. Si ha paura persino di ammettere una inequivocabile verità: e cioè che via Partenope può far paura.

Due accoltellamenti in meno di tre ore, il primo successivo al secondo. E nemmeno questo riesce a spingere chi ha scelto di investire i propri capitali sul lungomare a ribellarsi. Ad invocare più controlli. Eppure tutti sanno benissimo quali siano i meccanismi grigi che regolano le notti della movida. Chiamatele pure le nuove Barbie. Pur senza scomodare i sociologi ci vuol poco a capire che cosa scateni la follia dei minorenni che sciamano verso via Partenope - ma il discorso vale anche per i «baretti» di Chiaia e per le mete del divertimento notturno del centro storico. Basta un nulla. Sono sufficienti dieci ragazzini a scatenare l'inferno.
 
Quel che è accaduto nella notte tra sabato e domenica a Chiaia è un mix di violenza e di silenzi. Le stesse due vittime finite in ospedale dopo essere state accoltellate da balordi minorenni hanno taciuto la verità.

Eppure, a fronte di questo muro di omertà dei titolari dei locali che - guarda caso, ieri sera, erano o facevano dichiarare ai propri dipendenti di essere tutti «assenti» - emerge uno squarcio di luce. A parlare sono i camerieri, i lavapiatti e gli altri lavoratori che invocano - in cambio - l'anonimato.

«L'altra sera - racconta Rosario - nel nostro locale c'erano una decina di ragazzini. Noi selezioniamo accuratamente gli ingressi, abbiamo anche assunto dei bodyguard per filtrare la clientela. Poco più in là, in via Partenope, abbiamo assistito ad una scena che purtroppo si ripete ormai ad ogni fine settimana. Tre ragazzine, potevano avere sì e no 13, 14 anni: vestite con abiti succinti. All'improvviso si è scatenata una rissa: da quel che abbiamo visto crediamo che sia bastata una battutaccia fatta da uno dei giovanissimi che incrociavano quella comitiva, un apprezzamento pesante rivolto a una delle tre Barbie truccate quasi fossero delle modelle, a scatenare l'inferno». Botte da orbi.

Poi, all'improvviso, spuntano i coltelli ed ecco che un battibecco tra adolescenti si trasforma in dramma, quando non in tragedia. «Non ce la facciamo più - dichiara uno dei pochi titolari di un ristorante che accetta di dire la sua, sempre a condizione che non lo si citi per nome e cognome - Nel nostro locale da settembre ad oggi ne abbiamo viste di tutti i colori. Per tre volte ci siamo visti invadere da giovanissimi, tutte vittime di aggressioni violente, uno addirittura accoltellato. Il panico. Quel ragazzino insanguinato ha tentato di trovar riparo dietro ad un nostro cameriere, che è alto un metro e novanta. Solo allora gli inseguitori hanno rinunciato a continuare nelle violenze».

Ma sono testimonianze sparute. Perché - almeno ieri sera - e cioè a meno di ventiquattr'ore dall'ultima notte di follia consumata lungo via Partenope - sono veramente pochi quelli che hanno voglia di parlare, di raccontare e di denunciare qualcosa che è molto più di un disagio, di un fastidio. In nessuna altra parte del mondo accade quello che succede sul proscenio naturale più bello del mondo. Napoli silenziosa. Napoli violenta. Napoli omertosa? Eppure qui si tratta solo di denunciare un branco di teppistelli, minori: e tutti li conoscono per nome. «Lo vedi quello? - dice ancora un altro responsabile di sala - Lo chiamano 'o biondo. Il «biondo» passeggia lungo via Partenope affiancato da tre amici. In quattro non arriveranno a 50 anni, sommandone le età. Eppure 'o biondo sembra essere uno dei protagonisti delle notti che insanguinano la movida di Napoli.

«Vogliamo più sicurezza - conclude un altro dei gestori dei locali di via Partenope - È vero, qui ogni due minuti vedete passare le auto delle forze dell'ordine. Ma basterebbe un camper. Un camper della polizia di Stato o dei carabinieri. Posizionato in via Partenope: dalle nove alle due della notte, dal venerdì alla domenica».

Raccogliamo l'appello. Ma restano quei silenzi che hanno il sapore amaro di complicità. Perché dietro a quel «meglio non parlare, meglio non commentare» imposto a chi ogni notte assiste e diventa a propria volta vittima di un insuccesso commerciale c'è la sconfitta di Napoli.