Natale a Napoli al buio, è rissa sulle luminarie: «Città alla deriva, basta chiedere l'elemosina»

Natale a Napoli al buio, è rissa sulle luminarie: «Città alla deriva, basta chiedere l'elemosina»
di Maria Chiara Aulisio
Domenica 17 Dicembre 2017, 11:10 - Ultimo agg. 11:11
6 Minuti di Lettura

Botta e risposta tra Comune e griffe: gli otto firmatari della lettera inviata al sindaco per dire basta all'approssimazione nella gestione degli eventi che riguardano la città, a cominciare dagli addobbi di Natale fino all'intrattenimento, soprattutto nei mesi di maggiore affluenza turistica, spiegano perché hanno deciso di scendere in campo e dire la loro. Maurizio Marinella non nasconde la sua amarezza: «È anche noioso ogni anno sentirsi ripetere sempre la stessa cosa: a novembre si dice che soldi non ce ne sono e la città resta al buio. E allora partono le collette e si cerca di rimediare accendendo un po' qua e un po' là in base alla disponibilità dei singoli commercianti: ognuno fa quello che gli pare e alla fine il risultato è pessimo. Vi pare possibile? A me no. Di questa elemosina non se può più: non è giusto per una città che sta vivendo una nuova giovinezza e avrebbe tutto il diritto di essere trattata alla stregua delle più belle d'Italia e d'Europa». Marinella, che pur di restituire un po' di dignità alle aiuole di piazza Vittoria, a due passi dal suo negozio, qualche anno fa decise di adottarne una rimettendola a nuovo a sue spese, parla di arredo urbano «completamente abbandonato». «Se vogliamo vedere due luci dobbiamo andare a Salerno - prosegue il re delle cravatte - perché qui non c'è niente. In questi giorni per entrare da Marinella ci sono un centinaio di metri di fila e tra chi aspetta tanti sono turisti. Insomma, possiamo invertire la rotta e cominciare a trasmettere a chi vieni a trovarci la sensazione di trovarsi in una Napoli diversa? O dobbiamo continuare a essere considerati di serie B?».

Ed ecco la seconda firma in calce alla lettera spedita a Palazzo San Giacomo: Sally Monetti, negozi a Napoli, Roma e Milano, alla guida della storica azienda Eddy Monetti, simbolo dello stile made in Naples e dell'eleganza maschile all'ombra del Vesuvio. Nel corso degli anni, Monetti ha vestito dalle star del grande schermo a quelle della musica ma anche re e capi di stato: «L'ho detto in una recente intervista e lo ribadisco: se in questa città non avessi il cuore, i negozi li avrei già chiusi: non c'è interesse e non c'è convenienza. Come si può pensare di non montare le luci di Natale? E come si può dare per scontato che i commercianti facciano tutto loro, dalla scelta delle luminarie al pagamento. Follia».
 
Sally Monetti è un fiume in piena: «Per quanto mi riguarda già pago la sorveglianza privata visto che in tempi molto recenti sono entrati dalle fogne e mi hanno ripulito il negozio fino all'ultimo calzino. Poi pago chi spazza e lava il marciapiedi perché altrimenti non lo fa nessuno, adesso illumino anche via dei Mille a Natale e poi vorrei sapere le tasse che le pago a fare». Protesta condivisibile, quella di Sally Monetti, che inevitabilmente fa il paragone con le altre città dove lavora: «Non dico Londra dove sono stato nei giorni scorsi ed è un festival di luci, ma Roma e Milano potrebbero rappresentare un modello da seguire. La verità è che qui la situazione negli ultimi tempi è notevolmente peggiorata. Senza contare che non stiamo parlando di investimenti milionari. Ma quanto può costare installare un po' di luci?». Gli risponde Roberta Bacarelli, stilista in via Carlo Poerio, firma numero tre, che mostra uno dei preventivi di spesa che aveva richiesto per il servizio di «installazione, manutenzione e smontaggio di decori luminosi artistici in alcune strade e piazze di Chiaia». Eccolo: 35mila euro, «comprensivo di energia elettrica e tutti gli oneri previsti per eseguire a regola d'arte il progetto» per montare le luci di Natale nelle seguenti strade: via Bisignano, via Nisco, via Vannella Gaetani, piazzetta Rodinò, via Carducci, via Alabardieri, via San Pasquale, via Ferrigni, via Cavallerizza, via Carlo Poerio, vico e vicoletto Belledonne». «Vorrei che qualcuno mi spiegasse per quale ragione quando paga il Comune le cifre si dilatano - chiede la Bacarelli - se con 35mila euro si illumina praticamente tutto il centro con gli oltre 400mila che il Comune aveva a disposizione grazie al danaro recuperato dalle tasse di soggiorno, forse si riusciva ad accendere tutta la città. Non solo non è stato così ma le poche luci montate sono anche bruttissime».

A farle eco Carla Della Corte, gioielleria in via Carlo Poerio, tra le promotrici del gruppo di commercianti «luci fai da te» che, grazie all'impegno di tutti, è riuscito a illuminare almeno le arterie secondarie del centro: «Abbiamo pagato 180 euro a testa - spiega la Della Corte - qualcuno si è accollato anche qualche quota in più per coprire i vuoti lasciati da chi non ha voluto partecipare alla nostra iniziativa. Non abbiamo ricevuto alcun plauso dall'assessore che invece ha dichiarato di essersi complimentato con chi ha fatto la stessa cosa in periferia. Forse non sapeva che tra i firmatari di quella lettera al sindaco c'era anche chi, senza fare troppe chiacchiere, le luci se l'era pagate». Non solo. «Le uniche luci accese il 20 novembre - aggiunge Carla Della Corte - erano quelle di Chiaia. Mentre loro litigavano in Confcommercio senza riuscire a trovare un accordo noi facevamo i fatti mettendo mano al portafogli e facendo montare le luminarie. Hanno fatto il bando per la ricerca dello sponsor a dicembre inoltrato. Se vi pare serio. Speriamo che almeno tutto questo possa essere stato utile a far capire al sindaco che se si vuole fare una cosa bisogna organizzarsi. Esattamente come il pranzo di Natale in Galleria che salta dopo oltre vent'anni perché anche in questo caso il disinteresse del Comune è stato totale»

Ed ecco Mariano Rubinacci, cinquanta dipendenti di cui una quarantina di sarti, sette/ottocento abiti all'anno, tutto il lavoro svolto all'interno dell'azienda, oggi concentrata nella prestigiosa sede di Palazzo Cellammare. Calano gli italiani, la clientela è all'80% straniera. I costi? A partire da 5000 euro, fino a una pashmina che arriva a 28mila: «Ma è giusto che un cliente per raggiungere il mio negozio, nel cuore del centro della città, debba farsi largo tra gli ambulanti? Non credo per chi lavora onestamente e nel rispetto delle regole. Le luminarie? Assurdo. Il Natale dovrebbe dare allegria, via dei Mille è semi buia come via Filangieri, c'è qualcosa in via Chiaia ma lascia il tempo che trova».

Ta i firmatari anche Gianluca Isaia, rampollo di terza generazione di una famiglia che ha trasformato il «made in Napoli» dell'abbigliamento maschile d'alta gamma in un business internazionale. Il 90% dei 55 milioni di ricavi del 2016 in esportazione, 14 showroom nel mondo e il vezzo di parlare solo in due lingue: inglese e napoletano: «Vero. Amo questa città più di ogni altra anche se sono sempre in giro per il mondo. Non abbiamo negozi in centro ma ho voluto ugualmente sottoscrivere questa lettera perché la vicenda delle luminarie è veramente scandalosa». E poi aggiunge: «Sono spesso qui con i clienti stranieri e ogni volta che la città non li accoglie come si deve è un pugno nello stomaco. La stessa amarezza che mi assale quando sento che si spara ai baretti e nessuno riesce a garantire sicurezza e rispetto delle regole». Un consiglio al sindaco lo offre Antonio De Matteis, amministratore delegato di Kiton, da molti ritenuto il brand maschile più esclusivo in assoluto, quello che produce gli abiti più costosi per gli uomini più ricchi del pianeta: «Andate a farvi un giro per vedere come si illumina una città. Basta arrivare a Milano, la galleria è uguale alla nostra, guardate un po' la differenza. Non è sempre e solo una questione di soldi». Infine, lo stilista Alessio Visone: «Ci vuole programmazione altrimenti non si va da nessuna da parte. Fino a quando si continuerà a lavorare sull'improvvisazione difficilmente si potrà fare un passo in avanti».
 

© RIPRODUZIONE RISERVATA