Napoli, ecco come sarà il nuovo porto: l’obiettivo è una svolta paesaggistica

Napoli, ecco come sarà il nuovo porto: l’obiettivo è una svolta paesaggistica
di Paolo Giordano*
Lunedì 14 Dicembre 2020, 15:36 - Ultimo agg. 19:02
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Se è vero che la costa occidentale di Napoli è un lungomare a dimensione d’uomo, caratterizzato dalla presenza della Villa Comunale, di Via Francesco Caracciolo nonché dalla mole del Castel dell’Ovo, è altrettanto vero che il waterfront centrale si presenta come un esteso ambito caratterizzato da oggetti architettonici ed infrastrutturali del tutto frammentari e disomogenei tra loro.

Una sorta di periferia urbana che, dall’area industriale orientale, si è insinuata, attraverso la sua stretta fascia costiera, tra la Napoli di fondazione e lo scenografico golfo partenopeo, interrompendo, di fatto, quello storico rapporto tra città e mare di grande valore paesaggistico. Mi riferisco, nello specifico, all’area di sedime portuale governata negli ultimi quattro anni da Pietro Spirito, presidente dell’Autorità di Sistema Portuale del Mar Tirreno Centrale, attraverso una gestione innovativa, partecipata e propositiva.

Innovativa in virtù degli stessi meccanismi semplificativi introdotti dalla riforma Delrio in materia di razionalizzazione dei porti italiani; partecipativa per il coinvolgimento di associazioni civiche e di istituzioni pubbliche, tra cui le università campane, nelle questioni riguardanti l’analisi delle complessità connesse alla portualità regionale; propositiva, infine, per quanto fatto non solo per lo sviluppo delle diverse attività marittime ma anche per il contributo fornito ad una prima risoluzione, in termini di restauro architettonico e progettazione urbana, di quei problemi infrastrutturali che hanno tenuto fuori dall’uso dei cittadini l’area portuale centrale.

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Quest’ultimo aspetto è di fondamentale importanza anche in relazione a quelle miopi posizioni che intendono la ‘questione porto’ alla stregua di una partita tutta interna al suo recinto demaniale senza comprendere che il porto di Napoli è Napoli e che la città partenopea è anche il suo porto. Una miopia non presente nello sguardo di Pietro Spirito che, negli ultimi quattro anni, partendo dalla nuova sistemazione di Piazza Municipio e del Piazzale Angioino ha avviato e predisposto realizzazioni e progetti che, per la prima volta dopo centocinquanta anni, tendono a ricucire la lacerazione urbana creatasi tra la città storica e il porto. Mi riferisco innanzitutto a due operazioni progettuali in fase di realizzazione e ad una ulteriore possibilità di riqualificazione dell’area portuale compresa tra il Molosiglio e la Calata del Piliero.

Da una parte l’apertura del cantiere per la nuova stazione marittima del molo Beverello per i collegamenti veloci con le isole e la contemporanea messa in opera del cantiere di restauro dell’Immacolatella Vecchia; dall’altra parte la predisposizione di un comitato scientifico che, negli ultimi tre anni, ha prodotto studi e progetti per il restauro e la riconfigurazione interna degli ex Magazzini Generali da destinare a Museo del Mare e delle Migrazioni. Una serie di operazioni ad ampio respiro che, potenzialmente, si pongono all’avanguardia della progettazione urbana europea in un momento di asfissia generale derivante dal fiato corto indotto dalla pandemia globale che soffoca non solo economie ma anche idee ed aspirazioni nei confronti del bene comune e della collettività urbana.

In tal senso, al di là delle capacità gestionali dell’attuale presidente dell’Autorità Portuale in questione, già ampiamente testimoniate sulla stampa da illustri osservatori più competenti del sottoscritto in materia di management, va sottolineato quest’ulteriore ruolo di protagonista attivo e artefice di un possibile ribaltamento dell’infelice destino della linea di costa partenopea quantomeno nella sua tratta centrale.

La riappropriazione del “mare negato” alla città, ottenuta attraverso una nuova idea di lungomare urbano, è uno dei tanti meriti da ascrivere al lavoro di Pietro Spirito che, per la sua caparbia capacità realizzativa, non dovrebbe andare perduto. La continuità della governance è fondamentale per portare a termine progetti per i quali un solo mandato quadriennale non basta. È auspicabile quindi che, nel nostro Bel paese, diventi normale rinnovare il mandato a chi ha saputo operare con competenza, risolutezza e lungimiranza.

*Professore ordinario di Restauro dell’Architettura e coordinatore del Dottorato di Ricerca “Architettura e Beni Culturali” dell’Università degli Studi della Campania “Luigi Vanvitelli”

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