Napoli, Palazzo Reale mozzafiato ma intorno ci sono solo macerie

Napoli, Palazzo Reale mozzafiato ma intorno ci sono solo macerie
di Gennaro Di Biase
Martedì 4 Gennaio 2022, 00:00 - Ultimo agg. 5 Gennaio, 09:13
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Sfortuna e gloria si abbracciano per sempre a Palazzo Reale, come le anime dell’Inferno proiettate in video sul preziosissimo scalone del ’600, scelto da Alberto Angela per aprire il suo ormai noto “Stanotte a Napoli”. Il vecchio (la prima cantica) e il nuovo (il filmato) si confondono una volta per tutte nell’installazione che introduce il visitatore a scoprire Dante e il passato mettendo in mostra il presente che ne deriva. Napoli è però una città di picchi e discese improvvisi, e intorno al Palazzo la regalità evapora già a pochi passi dalla biglietteria, dove la gloria si allontana e la sfortuna avanza sulle buche di via Acton o del belvedere di Cesario Console, transennato da anni, che presenta nuovi e preoccupanti avvallamenti da dissesto idrogeologico. C’è un frigorifero che gela la storia nella Fontana dei Papiri al Molosiglio, distrutta e circondata da rami, crollati o tagliati. Il degrado del portico del Plebiscito, soffocato da clochard aggressivi, scritte, falli e svastiche, non fa quasi più scalpore. Un degrado che ha qualcosa di atemporale: il tempo è schizofrenico, a Napoli. Non passa, o passa troppo veloce perché si possa afferrarne un pezzo e sistemare le cose. 

Un continuo saliscendi di bellezza (nel Palazzo) e dissesti. La costruzione dello scalone d’onore, che - come ricorda Angela - Montesquieu avrebbe poi definito «il più bello d’Europa», cominciò col viceré Ferrante de Ruiz Castro, che la affidò a Domenico Fontana per celebrare l’arrivo di Filippo III. Il sovrano non venne poi mai in città, ma quei gradoni nei secoli sarebbero stati calpestati dai reali di tutta la storia moderna. Anche la Napoli che circonda il Palazzo è calpestata, da degrado e dissesti. Napoli è calpestabile: questo è il suo carattere, e non fa differenza tra re e clochard. L’inciviltà e la storia, in questa fetta di città, compiono lo stesso gesto. La logica vorrebbe che intorno al simbolo principesco della città tutto fosse pulito e curato. Invece l’assenza di decoro è surreale. Le transenne che insistono da almeno 5 anni sul belvedere a pezzi di via Console sono «state sostituite il mese scorso» dice Francesca Agizza del bar Gud.

Del resto, il muro che dà su via Acton in queste settimane perde più pezzi del Napoli di Spalletti. E chissà che il dissesto non sia simile a quelli della (sottostante) Galleria Vittoria riaperta. Clochard ovunque, al Plebiscito. Tutto qui parla della coesistenza di sovranità e miseria, i primi e gli ultimi a braccetto una volta e per sempre. Nelle piante del piazzale che sorge tra museo e San Carlo, qualche incivile ha posato le feci fresche del suo cane. Chissà se dal letame nasceranno fiori o solo inciviltà. 

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L’ascensore è chiuso e bardato. Decine di transenne occupano il marciapiede tra via Acton e Circolo Canottieri, avvolgendo locali che fino a poco fa erano deposito Asia. Ora sono off-limits, dati muro pericolante e avvallamenti. Più che una passeggiata, il lungomare qui è una montagna russa. Il filo logico dell’incuria procede liscio nei giardini del Molosiglio. La fontana dei Papiri somiglia alla selva oscura della mostra dantesca a Palazzo Reale. Più di tutto, però, colpisce una grossa boa marina che qualcuno ha posato sui prati. Un rombo arancione misteriosissimo, che ha qualcosa di onirico: è un giro di boa sull’erba, una sinestesia che, come in un sogno, aiuta a navigare nel degrado dei giardini. Non è la Divina Commedia, questa. È la commedia onirica di Partenope. La stessa cui Sorrentino e Angela, citando Pino Daniele, affidano la fine di “È stata la Mano di Dio” e l’inizio del documentario: «Napule è tutto nu suonno, e ‘a sape tutto ‘o munno, ma nun sanno ‘a verità». Ma qual è questa «verità» segreta che solo Napoli custodisce? Parte della risposta sta nella boa sul prato: che si trovi sull’erba o in mare conta poco, Napoli è la città dell’indifferenza. Contrariamente al resto dell’Occidente, la differenza qui è una questione secondaria. Proprio questa verità così esclusiva costituisce il fascino e insieme la superficialità della città: è il segreto di Pulcinella. L’incuria di Napoli è un segreto da poco, che non rivela quasi niente, ma in cui si forgiano i desideri, le voglie dei turisti e il senso della vita che passa e si posa dove e come vuole. Come la boa sul prato. 

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