Napoli, la provincia abbandonata tra degrado e illegalità

di Marilicia Salvia
Domenica 23 Settembre 2018, 08:00
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Secondo il rapporto «Abbatti l'abuso» appena pubblicato da Legambiente, il 71 per cento delle 362mila e passa richieste di condono che giacciono negli uffici comunali campani riguardano la provincia di Napoli. Parliamo di oltre duecentomila costruzioni fuorilegge, piccole e grandi, di necessità ma anche no, disseminate in un territorio stretto tra il Vesuvio e il mare eppure popolosissimo, nelle isole dal fragile equilibrio idrogeologico, nella piana a nord dove i paesi a vocazione agricola sono cresciuti a dismisura, diventando città dormitorio con pochi servizi e nessuna identità. Abusi che difficilmente troveranno sanatoria ma neanche saranno mai abbattuti, se è vero che in tutta la Campania, come rivela ancora Legambiente, su 16.596 ordinanze di demolizione ne sono state eseguite solo il 3%: inevitabile prezzo pagato dall'ambiente e dal rispetto del principio della legalità a una politica degli occhi chiusi che ha fatto crescere il fenomeno in modo abnorme, fino a farlo diventare ingovernabile. Abbattere costa troppo, provoca altri danni (dove portare le tonnellate di risulta che ne deriverebbero? Come dare un tetto a+lle migliaia di abusivi «puniti» con le ruspe?) e priva la contesa elettorale di una preziosa merce di scambio. Il dibattito sul punto è eternamente d'attualità, rimbalza dai Consigli comunali al Parlamento e viceversa, senza riuscire a sfociare in soluzioni concrete.

La morta gora in cui sono arenate le costruzioni abusive - che in larga parte sono allacciate a scoli fognari a loro volta abusivi, vere bombe ecologiche che contribuiscono al degrado del territorio e all'inquinamento del mare - è la stessa in cui sono impantanate le regole più elementari che governano il mercato del lavoro.


Regole che in questa provincia, punteggiata di opifici che tengono viva una tradizione artigianale e manifatturiera importante, saltano con facilità impressionante. Ieri a Grumo Nevano, «patria» insieme ai comuni circostanti della produzione di scarpe per conto di case di moda che le vendono in tutto il mondo, i carabinieri hanno scoperto e sequestrato un tomaificio nel quale nessuna delle prescrizioni di sicurezza e igiene era rispettata e tutte e 11 le dipendenti lavoravano in nero. Non è un caso isolato. I dati dell'Ispettorato del lavoro dicono tutto: su 4417 aziende ispezionate in provincia di Napoli nel corso dell'anno il 51 per cento, dunque più di una su due, sono risultate irregolari; sono stati individuati 2392 lavoratori occupati irregolarmente, dei quali 2142 completamente al nero, e tra questi 129 immigrati clandestini. E dei 510 cantieri passati al setaccio in cui erano in corso lavori edili, il 71 per cento è risultato irregolare sul piano della sicurezza: le violazioni prevenzionistiche accertate sono state 1263.

Naturalmente non si può fare di tutta l'erba un fascio, esistono aziende che funzionano con precisione svizzera e attento rispetto delle normative: aziende che vivono però con difficoltà estrema la loro condizione di avanguardia, come accade a Giugliano dove da decenni l'area Asi è condizionata dalla convivenza forzata con i Rom del vicino campo. Abusivo, naturalmente. Anche soltanto passando a volo d'uccello su questo territorio grande e allo stesso tempo ristretto, un microcosmo vasto meno di mille chilometri quadrati Vesuvio compreso, e abitato da oltre due milioni di persone, l'immagine che se ne ricava è di uno sconfortante palcoscenico sul quale trionfano degrado e illegalità. Il degrado che si coglie semplicemente percorrendo con l'auto gli svincoli di tutte le superstrade, dalla Circumvallazione esterna all'asse mediano, per scoprirli stracarichi di spazzatura e invasi dalle erbacce: discariche a cielo aperto inimmaginabili in qualunque paese normale, frutto eloquente dell'inciviltà degli abitanti e dell'inefficienza delle amministrazioni che dovrebbero prevenire, multare, ripulire. L'illegalità dei pulmini che girano per raccogliere immigrati da portare al lavoro nei campi, ma anche pendolari privati del servizio regolare di trasporto pubblico, a sua volta ostaggio di incapacità gestionali e ottusità della burocrazia. Su tutto, e più forte e capillare dell'azione comunque fattiva delle forze dell'ordine, la mano pesante della criminalità organizzata, che nella debolezza della presenza delle istituzioni sguazza e comanda. Michele Prisco, ormai troppi anni fa, scriveva di una provincia addormentata. Vivesse oggi cambierebbe il participio. La provincia di Napoli è abbandonata. Tradita, anche, da quella Città metropolitana che prometteva invece di rilanciarla. Una riforma rimasta incompiuta, un governo del territorio più debole e più distratto, una tendenza napolicentrica che non trova contrappesi. Un fallimento che vale il destino di due milioni di persone. E sul quale, finalmente e senza remore, bisogna cominciare a interrogarsi.
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