Degrado, rifiuti e giovani in fuga: nulla è cambiato nel rione dell'amica geniale

Degrado, rifiuti e giovani in fuga: nulla è cambiato nel rione dell'amica geniale
di Paolo Barbuto
Mercoledì 9 Gennaio 2019, 07:00 - Ultimo agg. 09:54
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«Ma state ancora in giro a guardare i palazzi dell'amica geniale? Ma non vi siete ancora sfasteriati, non siete stufi? Non tenete nient'altro da fare?». La donna non è aggressiva però è decisa, invita a fare due foto in fretta «tanto raccontate sempre le stesse cose, che i palazzi fanno schifo, che le strade sono sporche...».
 

 

No, signora, abbia pazienza, noi non vogliamo raccontare i palazzi e nemmeno le strade, a noi interessa parlare del Rione Luzzatti: come si vive qui? «E che volete che vi dico? Fatevi un giro e poi ne parliamo».

I tanti appassionati de «L'amica geniale» ci perdoneranno: nelle prossime righe la vicenda del romanzo sarà appena sfiorata, i luoghi di Lila e Lenù resteranno sullo sfondo perché abbiamo tentato di incrociare la vita, non il racconto: anche se, alla fine, la vita s'è mostrata identica al racconto, presentandosi in tutta la sua desolazione.
 
«Ti porto con me nel Rione, però promettimi che non ne parlerai male». La guida nel Rione Luzzatti è un uomo con lo sguardo fiero e la passione di chi è nato e ha vissuto 58 anni di fila in queste strade: ama questo mondo, lo difende, lo racconta e gli occhi sorridono, ne mostra le ferite e s'intristisce.

Si parte dalla chiesa, da dove altrimenti? È il cuore del quartiere, il punto di riferimento delle famiglie, dei ragazzini, delle persone in difficoltà che sono tantissime. Però il percorso nel rione prevede che la chiesa arrivi come ultima tappa. Il campanile resta subito alle spalle ché la prima cosa da mostrare a chi vuol parlare di questo posto è «l'ex area Nato». Migliaia d metri quadrati che avrebbero dovuto ospitare le strutture militari e che invece, dopo la realizzazione di un avveniristico impianto sportivo, sono rimasti in abbandono. Oggi quell'impianto è devastato e occupato da disperati, l'immensa area circostante è stata utilizzata per decenni come sversatoio abusivo di veleni oggi appena nascosti dalla sterpaglia: «Io abito in quel palazzo - Giovanni, la guida nel quartiere indica un edificio al confine del Rione Luzzatti - affaccio da sempre su questa schifezza, certamente morirò di tumore per la mer.. che mi hanno fatto respirare».

L'ultima propaggine dell'area degradata confina col «cancello 'o cinquanta», cioè il gruppo di edifici nel quale il romanzo vuole che ci siano le case delle protagoniste. Davanti a quelle sterpaglie si crea, ciclicamente, una discarica abusiva; in quel punto preciso, da un po', sostano i bus turistici che portano la gente sui luoghi dell'amica geniale: scendono e fotografano la spazzatura. Giovanni s'indigna quando lo racconta ma sa che non c'è niente da fare.

Il tour nel rione è affascinante ma lontano dalla vita: per sapere bisogna scendere dalla macchina e chiedere. Al bar gli sguardi sono torvi di primo acchito, il caffè è buono, le chiacchiere diventano più fluide: «Qui vivono tantissime persone perbene, non è che abbiamo paura a uscire dal locale la sera quando chiudiamo, non temiamo la criminalità di strada. Però ci sono certe famiglie che si fanno la guerra: colpi di pistola, auto date alle fiamme». Voleva essere il racconto di una vita normale, diventa la storia di un quartiere da brividi.

Di fronte ai ruderi del cinema Rivoli la guida si blocca: «Qui ho passato i giorni felici dell'infanzia con i colossal storici, quelli pruriginosi dell'adolescenza con i film della Fenech e di Gloria Guida, qui c'erano riunioni sindacali di protesta. Oggi ci sono muri che stanno per crollare». Di fianco la biblioteca dove ogni ragazzo del Rione Luzzatti è entrato almeno una volta: «Una volta venivamo a studiare, a noi bambini degli anni 60 sembrava un luogo incantato, ci permettevano pure di portare i libri a casa».

Nella piazza non c'è nessuno, dietro l'angolo due persone che la sanno lunga: «Questo non è un luogo di spaccio, non è nemmeno una zona di camorra, questo è il luogo del nulla. Non siamo città e non siamo nemmeno periferia, non c'è la malavita arrembante ma non si può campare nemmeno con tranquillità, non ci sono svaghi per i ragazzi, non c'è lavoro, non c'è commercio...». Quando superano i sedici anni, i giovani smettono di frequentare il rione e vanno a cercare vita e divertimento altrove, nei palazzoni tutti uguali ci sono famiglie di lavoratori e persone ai domiciliari, impiegati e parcheggiatori abusivi, mamme devote e prostitute: «Ma perché, non è così anche in altri quartieri?», s'arrabbia la guida.

Davanti alla chiesa è un viavai di ragazzini e genitori che fanno raccomandazioni, qui la sensazione di avvilimento e disperazione svanisce. La sede dell'associazione sportiva Murialdo è un tazebao di foto, coppe e scatoloni con le maglie per i bambini: quest'anno sono più di 60, tutti iscritti a un campionato di calcio così c'è l'emozione della partita ogni domenica. I giovani calciatori adorano Gianfranco Pappacoda e Rosario Provenzano che sono l'anima della «Murialdo». In chiesa assieme al parroco padre Marco lavorano da matti altri due preti, padre Sergio e padre Francesco: gestiscono l'oratorio, si occupano dell'Agesci, raccolgono pacchi per i poveri, s'ingegnano in laboratori d'arte presepiale. Tentano di dare un senso alla vita del rione. In molti casi ci riescono, talvolta falliscono ma non mollano.

Dietro la chiesa un parco giochi, gratuito, ovviamente, e curato con devozione dallo stesso Rosario Provenzano che si occupa del calcio.
Aperto da maggio a ottobre per la gioia di centinaia di bambini, sorge su un terreno dato in comodato gratuito dal Comune alla parrocchia. Adesso pare che il Comune abbia intenzione di chiedere un canone di locazione, ma questa è un'altra storia.

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