Tronchi mozzati e crolli, benvenuti nel nuovo Virgiliano di Napoli

Tronchi mozzati e crolli, benvenuti nel nuovo Virgiliano di Napoli
di Antonio Menna
Sabato 19 Gennaio 2019, 08:30
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Se bellezza e degrado sono i due poli di Napoli, il Virgiliano ce li ha entrambi. Testa e cuore. C'è tutto, su questa cima di Posillipo. La luce e il buio. La vista che mozza il fiato e la desolazione che fa dire peccato. Riapre oggi, dopo circa ottanta giorni di stop, dopo la chiusura decisa per danni da maltempo a fine ottobre, il Parco della Vittoria o della Bellezza, come fu battezzato nell'Anno IX dell'era fascista. Per tutti, in realtà, è la Rimembranza, nome di battesimo quando nacque per ricordare i morti della Grande guerra. E la guerra non è mai finita, lungo la strada che porta ai bastioni monumentali di ingresso. Un conflitto strisciante, che crepa le strade, distrugge la vegetazione. Riapre ma senza nemmeno rifarsi troppo il trucco, questa grande distesa di terrazze sul golfo intitolata a Virgilio. Una pulitura di siepi, la cimatura di qualche albero, il taglio netto di molti altri, giusto una spazzata: la chiamano messa in sicurezza. Una misura di precauzione: nessun albero crollerà sulla testa dei podisti. Il parco è uguale a se stesso, nel suo abbandono. Una montagna di sedie di plastica bianca, qualche ombrellone rotto: roba ammucchiata nelle stradine laterali come polvere sotto il tappeto. Se non la vedi, non c'è. Risorge un po' la vegetazione, come una testa folta dopo una tagliata di capelli. Si rivedono i lecci e gli olivi, ricompare un po' di sottobosco. Il mirto, il rosmarino. Ma ci vuole molto romanticismo per vederlo, in questo contesto che odora di grande occasione mancata.
 
Non si vede Palazzo Donn'Anna, da qui, ma Raffaele La Capria, nel cuore della sua bella giornata, uscirebbe ferito ancora più a morte attraversando il cimitero dei pini: almeno cento alberi tagliati di netto accompagnano, infatti, la passeggiata verso il parco. Si comincia da via Manzoni. Scendendo, sulla destra, si spalanca il golfo flegreo. Sotto, le ciminiere di Bagnoli, polveri e ruderi ancora rossi di metallo. Dietro, l'ovale netto dello stadio San Paolo, la caldera di Agnano, le case rampicanti di Pianura. Verso il mare si vede il Rione Terra di Pozzuoli, e a sinistra spunta selvaggia e verde Nisida, l'isola che non c'è. Davanti a tutta questa bellezza, tutta questa bruttezza. Alberi tranciati di netto. Radici che sfondano l'asfalto. Strada crepata lungo centinaia di metri, come per un bombardamento. I turisti scattano foto alzando la fotocamera, per non riprendere il degrado. Le coppie si mettono in posa per i selfie in piedi sul muretto, per non immortalare gli alberi spezzati. I pochi ciclisti, che evitano questo viale come la peste, scendono dai loro mezzi e si incamminano a piedi. «Qui un mio amico - dice un ragazzo - è caduto a faccia in giù. Ha il volto pieno di cicatrici. Basterebbe fare una colata di pece e alzare un po' la strada. Invece non si cammina nemmeno».

La svolta a destra, alla rotonda, lungo il ponte è ancora più desolante: a destra e a sinistra ci sono solo tronchi mozzati. Lo storico viale alberato non esiste più. Ma i moncherini di pino sono a loro volta ricettacolo di immondizia. Intorno, come per una beffarda fioritura, cartacce, bottiglie di vetro, lattine. C'è una poltrona abbandonata, poi un vecchio cassone dei gelati Algida, pieno di rifiuti, con paletti di ferro e un tentativo di recinzione rossa, per segnalare il pericolo, che è diventata a sua volta spazzatura: divelta e abbandonata, somma degrado a degrado. Sarà riaperto così, al pubblico, questo parco dimenticato. «Gli interventi hanno rimosso i soli ostacoli creati dal maltempo - ha precisato in una nota l'assessore al Verde, Ciro Borriello - nonostante le esigue risorse economiche a disposizione, pur permanendo le restanti difficoltà relegate ad un progetto complessivo di riqualificazione allo studio dell'amministrazione comunale». E mentre l'amministrazione studia, il malato muore.

I circa 92mila metri quadrati di parco sono appena più puliti del viale di ingresso. Sulle grosse colonne della cancellata ci sono graffiti e murales. Nelle pieghe dei muretti, cartacce, lattine e bottiglie di vetro. Ma appena dentro, campeggiano bustoni di arbusti ed erbacce. Sono gli effetti della ripulitura. I prati di ingresso sono rasati ma le giostrine sulla sinistra sono ancora divelte. Le fontane spente ma pulite. Le panchine sommerse dalla ruggine ma gli alberi che a fine ottobre erano piegati dal vento non sono più un problema: spariti, tagliati. «Che peccato», dice una coppia di giovani turisti tedeschi che si è spinta fin sulla cima di Posillipo per ammirare una vista senza eguali. Non sanno, però, se guardare il panorama marino o la distesa di spazzatura, buche, pietre, alle loro spalle. La bellezza o il degrado? Scendendo a sinistra, lungo via Lucrezio Caro la guerra sembra salire di intensità. Non solo i soliti pini tranciati come dita che spuntano dal sottosuolo ma le radici che, come compresse dal dolore, hanno spaccato tutto, lasciando pietre, calcinacci, pezzi di marciapiede crepato sulla strada. Uno scoppio furioso dal sottosuolo. Tre podisti di mezza età si allenano davanti ai cancelli. Usano le buche come ostacoli. «Tutto serve», dicono sorridendo. Della bellezza, fai vanto. Del problema, risorsa. Sono i due poli di Napoli, e qui ci sono entrambi. Ma almeno cambiamogli il nome, a questo parco, nel giorno della sua riapertura. Chiamiamolo dimenticanza.
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