Degrado, abusi e incuria: così Napoli umilia la sua storia

Degrado, abusi e incuria: così Napoli umilia la sua storia
di Paolo Barbuto
Giovedì 12 Settembre 2019, 07:00 - Ultimo agg. 14:36
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C'è un luogo che è il simbolo del disinteresse dei napoletani nei confronti dell'arte, della storia, dell'archeologia: è un edificio di vico Maiorani, una stradina che collega il decumano centrale con quello inferiore. Al numero 39 di quella viuzza c'è un edificio con interventi recenti ma realizzato in epoca medievale su resti di strutture romane. Gli appartamenti guardano su una piccola corte interna, quelli che si trovano più in alto godono di una vista speciale: affacciano su un'antica statua di un dio fluviale che è stata inglobata in un bagno abusivo costruito sul balcone di una casa al primo piano.
 
La storia l'ha raccontata il nostro giornale nel 2015, fece scalpore e suscitò indignazione: siamo tornati ieri in quel palazzo antico e un po' sgangherato, speravamo di raccontare il salvataggio di quel reperto invece siamo costretti a spiegarvi che quella statua è ancora al suo posto, esattamente come l'avevamo lasciata quattro anni fa. Nessuno s'è preso cura di quell'antico dio fluviale incastonato sopra un moderno water, nessuno l'ha salvato, nessuno l'ha studiato.

L'immagine sconfortante della statua infilata nel bagno abusivo è la rappresentazione più clamorosa del disinteresse napoletano che si trasforma in degrado, anche di fronte ai reperti antichi.

Ma se avete voglia di capire realmente cosa significa l'abbandono dell'archeologia dovreste fare un salto a via Pigna, nella parte finale che confluisce nel caos di Soccavo. Scendendo, sulla destra, se sarete fortunati riuscirete a scorgere una strana costruzione di tufo piena di strane rientranze: si tratta di una struttura funebre di epoca romana. Ma per riuscire a vederla dovete essere davvero fortunati: dovete sperare che non ci siano auto parcheggiate fin dentro la struttura antica, che per miracolo non ci siano sacchetti della spazzatura, materassi, frigoriferi gettati lì davanti, che la vegetazione sia stata rimossa o sia morta per mancanza d'acqua in estate.

Vorremmo evitarvi la consueta litania del se avessero reperti del genere in altre nazioni saprebbero come valorizzarli e portarci i turisti; vorremmo davvero evitare ma, purtroppo, è realmente così. Quel colombario romano a Napoli non esiste (quasi) per nessuno, o almeno non esiste per chi dovrebbe valorizzarlo e prendersene cura. Ci sono gruppi e associazioni (il Gan, Gruppo Archeologico Napoletano, in testa) che di tanto in tanto vanno a ripulire e lanciano allarmi, ma il volontariato è utile solo quando è sostenuto dall'alto e, in questo caso, non esiste nessun sostegno.

Ah, a proposito, se vi trovate in zona provate anche a fare un salto in direzione di Pianura dove c'è un altro monumento funebre romano. All'interno troverete siringhe, immondizia, tracce di croci bruciate: un altro esempio di aggressione all'archeologia, insomma.

Il fatto è che certi reperti, che si trovano nel mezzo della città, non possono essere protetti costantemente, così succede che restano in balìa della parte peggiore della città che ne fa quel che vuole.

A Piazza Calenda c'è una piccola vasca al centro della strada. Contiene reperti che vennero scoperti durante i lavori del Risanamento a fine ottocento: furono considerati talmente importanti da prevedere una modifica al progetto iniziale e si decise di realizzare un'intera piazza attorno a quelle antichità, l'attuale piazza Calenda. Potrebbe trattarsi dell'antica Porta Furcillensis, sicuramente sono resti dell'antica murazione cittadina. Sono al centro della piazza, si trovano in fondo a una vasca circolare di pietra, un invito irrinunciabile ai teppisti per trasformarla in discarica. E infatti quel luogo, che dovrebbe essere sacro per l'archeologia, per la maggior parte dell'anno è coperto da schifezze d'ogni genere. Poi qualcuno va a ripulire e inizia una nuova aggressione a colpi di pattume.

Va meglio, invece, a piazza Bellini dove sono gli stessi operatori commerciali a battersi per evitare che quella porzione di antiche mura portate alla luce venga trasformata in discarica.

È sconvolgente ancora oggi pensare che arrivati in fondo a via Ponti Rossi le automobili ancora oggi siano costrette a passare al di sotto dell'antico acquedotto romano: è un percorso talmente abituale che quasi più nessuno fa caso a quei reperti archeologici che rappresentano una incredibile opera di ingegneria idraulica progettata nel primo secolo dopo Cristo per portare l'acqua direttamente nelle abitazioni degli antichi abitanti della città.

Quei meravigliosi archi sono aggrediti dalla vegetazione, umiliati dai segnali stradali che li nascondono, massacrati dagli incidenti automobilistici che hanno distrutto le basi di antichissimi mattoni rossi. Insomma, niente a che fare con l'archeologia: si tratta solo di un intralcio alla circolazione stradale della città.

Nessun intralcio, invece, per la povera colonna di probabile epoca greca che si trova incastonata all'angolo di un edificio fra Spaccanapoli e via Santa Chiara, a dieci passi dalla storica chiesa napoletana. Quella colonna antica è stata colpita da auto e ciclomotori quando la zona non era vietata al traffico, oggi è aggredita da teppisti con le bombolette che l'imbrattano con frequenza e con piacere.

Il percorso nell'archeologia offesa dovrebbe proseguire verso la villa romana di Scampia, inoltrarsi nei resti delle Terme ad Agnano, spingersi a Sant'Aspreno dove sul portone della chiesa che ospita i reperti c'è una bella scritta rossa: Fuck, fottetevi.

Ecco, il messaggio degli incivili forse è proprio quello lasciato a Sant'Aspreno: napoletani, non avete pensato a tutelare i vostri preziosi reperti archeologici? La risposta la scriviamo in rosso sul portone di una chiesa, leggetevela.
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