La prof dell'Orientale che riscrive le favole con le faccine dei social

La prof dell'Orientale che riscrive le favole con le faccine dei social
di Maria Pirro
Venerdì 2 Novembre 2018, 19:00 - Ultimo agg. 23:01
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La storia è ispirata a un capolavoro della letteratura ottocentesca italiana, ma raccontata con le faccette che si inviano su WhatsApp o Facebook: i traduttori fanno parte di una social community, i disegni sono divertenti, il significato fedele all'originale, ed è durato anni questo meticoloso lavoro di stesura, una versione moderna della fiaba. Perché Pinocchio, riscritto con gli emoji, non è opera di nativi digitali ma di una professoressa dell'Orientale di Napoli, che ha portato avanti il progetto con una sua collega dell'università di Macerata, Francesca Chiusaroli, e con l'ingegnere informatico Federico Sangati.

Lei, la professoressa in jeans, una donna di 56 anni che quasi tutto il giorno smanetta con lo smartphone o al pc, per anni ha lavorato in aziende d'avanguardia, grazie alla conoscenza del tedesco come madrelingua, al punto che è stata chiamata a occuparsi di sistemi di traduzione automatica negli Stati Uniti, e poi al vertice di un consorzio specializzato, di ritorno in Italia. Così Johanna Monti è arrivata in cattedra all'Orientale. Ma il suo momento di popolarità è cominciato, appunto, due anni fa, con la revisione della favola, ed è continuato con la vittoria di Evitalia 2018, una competizione scientifica tra modelli di intelligenza artificiale.

 
L'ultimo successo consiste nel riuscire a far indovinare a un bot la parola chiave della Ghigliottina durante la sfida serale tra i concorrenti in onda su Raiuno. Il prossimo impegno punta invece a individuare, mediante un algoritmo, frasi di cyberbullismo nelle conversazioni tra adolescenti, ma anche tante altre attività sono curate sotto traccia dall'esperta alla ricerca di sempre nuovi strumenti e modi altri di stare al mondo.

Il suo metodo (non scontato) è guardarsi intorno, e guardare lontano. Meglio se all'estero: «Lì avevano già tentato esperimenti del genere, trasformando le pagine di Moby Dick in Emoji Dick, il corposo lavoro realizzato da Fred Benenson, oppure rielaborando il discorso di Obama alla nazione su The Guardian con l'account Twitter @Emojibama. Ma il Pinocchio in emojitaliano», sottolinea Monti, «è la prima versione rigorosa di un testo letterario, dotata di glossario e grammatica». Ed è il risultato di un lavoro di squadra: «Il libro si deve all'intuizione della mia collega Francesca Chiusaroli, dell'università di Macerata: è sua l'idea di utilizzare Twitter e il suo blog Scritture brevi come social community per promuovere una scrittura creativa, composta da disegni di oggetti (pittogrammi, è il nome più tecnico) e aperta a qualsiasi contributo». A dispetto di quel che appare, tradurre una fiaba nel linguaggio social dei ragazzi non è affatto semplice. Basti pensare alla difficoltà di indicare con un'immagine passato e futuro, tempi inesistenti nelle comunicazioni di messaggistica istantanea, schiacciate sul presente. Da dove partire, allora? «Il classico C'era una volta è stato riformulato con espedienti grafici, l'apostrofo usato per segnalare i verbi», dice Monti. Più faccette sono state usate, invece, per indicare parole non disponibili sulla tastiera. Ad esempio. Bottega tiene insieme una casa e gli attrezzi, il senso di colpa prevede la sequenza uomo-donna-mela, di ispirazione biblica.

Stesso discorso per sintetizzare in emoji i nomi propri dei personaggi: Geppetto è il buon padre, quindi raffigurato con un volto e un cuore. E, in assenza di una icona per il Grillo, la voce gracchiante è stata associata al simbolo della morale tradizionale: il tocco di laurea più una tromba; mentre il burattino è diventato un robot (segno dei tempi), e Pinocchio un «runner anche quando non corre». A spiegare le ragioni di queste scelte è Chiusaroli sul portale della Treccani, che si è interessato al caso.

Eppure, questo codice non è privo di ambiguità. «Ho tenuto un corso con quaranta studenti cinesi e scoperto che la scimmietta a Pechino significa okay, l'animale viene associato al fonema», ride la professoressa, riconoscendo che si può dare una interpretazione diversa a ciascun logo, dire tutto e niente insieme. «Ma non con il cuore».

Il cuore ha un valore comune, semantico ed emotivo, sia che si parli l'arabo o l'ebraico, il finlandese o lo swahili. Ed è sognando un linguaggio universale, leggibile in tutto il mondo, che Monti, Chiusaroli e Sangati hanno realizzato, con i termini individuati per la fiaba, anche il primo bot di traduzione di emoji-italiano. L'originale dizionario oggi consente di decifrare le faccette, e viceversa, di scoprire cioè qual è la parola corrispondente al disegno, in oltre 70 lingue, attraverso l'applicazione gratuita @EmojiWorldBot. «Un altro meccanismo, di facile comprensione, che ha alla base un complesso lavoro per far sì che il programma funzioni», avverte Monti, la traduttrice napoletana di emoji, sostenendone l'impianto teorico. Condivisa resta la responsabilità dell'opera.
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