Papa Francesco a Napoli: «Città laboratorio di accoglienza. Russolillo, don Diana e Moscati esempi di vita»

Papa Francesco a Napoli: «Città laboratorio di accoglienza. Russolillo, don Diana e Moscati esempi di vita»
di Maria Chiara Aulisio
Venerdì 21 Giugno 2019, 08:40 - Ultimo agg. 19:12
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Papa Francesco è atterrato stamattina intorno alle 9 a Napoli, sul prato del parco Virgiliano. Niente Papamobile ad aspettarlo, ma un'auto blu che, in pochi minuti, da via Manzoni lo ha portato direttamente in via Petrarca, nella Casa dei gesuiti, per partecipare a un convegno dedicato, in particolare, a studenti e docenti delle facoltà teologiche. Una visita privata, la sua, destinata a durare solo qualche ora.

Alle 8.53, dunque, il Papa è arrivato alla facoltà teologica dell'Italia meridionale, accolto dall'arcivescovo di Napoli Crescenzio Sepe e dal presidente della Conferenza Episcopale Italiana, cardinale Gualtiero Bassetti. In prima fila il sindaco di Napoli Luigi de Magistris e il presidente della giunta regionale della Campania Vincenzo De Luca. Nel salutare de Magistris, Papa Francesco gli ha rivolto gli auguri di buon onomastico per la ricorrenza odierna di San Luigi.
 

 

«C'è il dovere evangelico e umano di accogliere chi è in difficoltà, ma c'è anche il dovere di chi viene accolto di rispettare tradizioni, costumi, fedi di coloro che lo accolgono», ha scritto Bartolomeo I, patriarca di Costantinopoli, nell'indirizzo di saluto inviato ai convegnisti riuniti a Napoli per il confronto su «La teologia dopo Veritas Gaudium». Per Bartolomeo «è quindi necessario esaminare con cura il modo di accogliere, il perché accogliere, ma soprattutto il come accogliere, nel rispetto delle popolazioni locali».

Ad aprire i lavori del convegno di Napoli con Papa Francesco è stato padre Pino Di Luccio, decano della sezione San Luigi della Pontificia facoltà teologica dell'Italia meridionale dando il saluto al Pontefice. «In questi mesi passati mi hanno chiesto come l'ho convinta a tornare e a partecipare a questo convegno. Penso che sia un dono speciale dello Spirito Santo». Il Papa è stato una prima volta a Napoli il 21 marzo del 2015.
 

«Signori Cardinali, Cari fratelli Vescovi e Sacerdoti, Cari professori e cari studenti - così ha esordito nel suo intervento il Santo Padre nelle sede di San Luigi -. Sono lieto di incontrarmi oggi con voi e di prendere parte a questo Convegno. Ricambio di cuore il saluto del caro fratello il Patriarca Bartolomeo, che ha voluto contribuire alla riflessione con un suo personale messaggio. Il Mediterraneo è da sempre luogo di transiti, di scambi, e talvolta anche di conflitti. Questo luogo oggi ci pone una serie di questioni, spesso drammatiche. Esse si possono tradurre in alcune domande che ci siamo posti nell’incontro interreligioso di Abu Dhabi: come custodirci a vicenda nell’unica famiglia umana? Come alimentare una convivenza tollerante e pacifica che si traduca in fraternità autentica? Come far prevalere nelle nostre comunità l’accoglienza dell’altro e di chi è diverso da noi perché appartiene a una tradizione religiosa e culturale diversa dalla nostra? Come le religioni possono essere vie di fratellanza anziché muri di separazione? Queste e altre questioni chiedono di essere interpretate a più livelli, e domandano un impegno generoso di ascolto, di studio e di confronto per promuovere processi di liberazione, di pace, di fratellanza e di giustizia (...)».

«Il modo di procedere dialogico è la via per giungere là dove si formano i paradigmi, i modi di sentire, i simboli, le rappresentazioni delle persone e dei popoli. Giungere là ― come “etnografi spirituali” dell’anima dei popoli ― per poter dialogare in profondità e, se possibile, contribuire al loro sviluppo con l’annuncio del Vangelo del Regno di Dio, il cui frutto è la maturazione di una fraternità sempre più dilatata ed inclusiva. Dialogo e annuncio del Vangelo che possono avvenire nei modi tratteggiati da Francesco d’Assisi nella Regola non bollata, proprio all’indomani del suo viaggio nell’oriente mediterraneo. Per Francesco c’è un primo modo in cui, semplicemente, si vive come cristiani: «Un modo è che non facciano liti o dispute, ma siano soggetti ad ogni creatura umana per amore di Dio e confessino di essere cristiani» (XVI: FF 43). Vi è poi un secondo modo in cui, sempre docili ai segni e all’azione del Signore Risorto e al suo Spirito di pace, si annuncia la fede cristiana come manifestazione in Gesù dell’amore di Dio per tutti gli uomini. Questa docilità allo Spirito implica uno stile di vita e di annuncio senza spirito di conquista, senza volontà di proselitismo e senza un intento aggressivo di confutazione. Una modalità che entra in dialogo “dal di dentro” con gli uomini, con le loro culture, le loro storie, le loro differenti tradizioni religiose; una modalità che, coerentemente con il Vangelo, comprende anche la testimonianza fino al sacrificio della vita, come dimostrano i luminosi esempi di Charles de Foucauld, dei monaci di Tibhirine, del vescovo di Oran Pierre Claverie e di tanti fratelli e sorelle che, con la grazia di Cristo, sono stati fedeli con mitezza e umiltà e sono morti con il nome di Gesù sulle labbra e la misericordia nel cuore. E qui penso alla nonviolenza come orizzonte e sapere sul mondo, alla quale la teologia deve guardare come proprio elemento costitutivo. Ci aiutano qui gli scritti e le prassi di Martin Luther King e Lanza del Vasto e di altri “artigiani” di pace. Ci aiuta e incoraggia la memoria del Beato Giustino Russolillo, che fu studente di questa Facoltà, e di Don Peppino Diana, il giovane parroco ucciso dalla camorra, che pure studiò qui».

«Dialogo non è una formula magica, ma certamente la teologia viene aiutata nel suo rinnovarsi quando lo assume seriamente, quando esso è incoraggiato e favorito tra docenti e studenti, come pure con le altre forme del sapere e con le altre religioni, soprattutto l’Ebraismo e l’Islam. Gli studenti di teologia dovrebbero essere educati al dialogo con l’Ebraismo e con l’Islam per comprendere le radici comuni e le differenze delle nostre identità religiose, e contribuire così più efficacemente all’edificazione di una società che apprezza la diversità e favorisce il rispetto, la fratellanza e la convivenza pacifica. Con i musulmani siamo chiamati a dialogare per costruire il futuro delle nostre società e delle nostre città; siamo chiamati a considerarli partner per costruire una convivenza pacifica, anche quando si verificano episodi sconvolgenti ad opera di gruppi fanatici nemici del dialogo, come la tragedia della scorsa Pasqua nello Sri Lanka. Formare gli studenti al dialogo con gli ebrei implica educarli alla conoscenza della loro cultura, del loro modo di pensare, della loro lingua, per comprendere e vivere meglio la nostra relazione sul piano religioso. Nelle facoltà teologiche e nelle università ecclesiastiche sono da incoraggiare i corsi di lingua e cultura araba ed ebraica, e la conoscenza reciproca tra studenti cristiani, ebrei e musulmani (...)». «Il dialogo come ermeneutica teologica presuppone e comporta l’ascolto consapevole. Ciò significa anche ascoltare la storia e il vissuto dei popoli che si affacciano sullo spazio mediterraneo per poterne decifrare le vicende che collegano il passato all’oggi e per poterne cogliere le ferite insieme con le potenzialità. Si tratta in particolare di cogliere il modo in cui le comunità cristiane e singole esistenze profetiche hanno saputo ― anche recentemente ― incarnare la fede cristiana in contesti talora di conflitto, di minoranza e di convivenza plurale con altre tradizioni religiose. Tale ascolto dev’essere profondamente interno alle culture e ai popoli anche per un altro motivo. Il Mediterraneo è proprio il mare del meticciato, un mare geograficamente chiuso rispetto agli oceani, ma culturalmente sempre aperto all’incontro, al dialogo e alla reciproca inculturazione. Nondimeno vi è bisogno di narrazioni rinnovate e condivise che ― a partire dall’ascolto delle radici e del presente ― parlino al cuore delle persone, narrazioni in cui sia possibile riconoscersi in maniera costruttiva, pacifica e generatrice di speranza. La realtà multiculturale e pluri-religiosa del nuovo Mediterraneo si forma con tali narrazioni, nel dialogo che nasce dall’ascolto delle persone e dei testi delle grandi religioni monoteiste, e soprattutto nell’ascolto dei giovani. Penso agli studenti delle nostre facoltà di teologia, a quelli delle università “laiche” o di altre ispirazioni religiose. «Quando la Chiesa ― e, possiamo aggiungere, la teologia ― abbandona gli schemi rigidi e si apre ad un ascolto disponibile e attento dei giovani, questa empatia la arricchisce, perché “consente ai giovani di donare alla comunità il proprio apporto, aiutandola a cogliere sensibilità nuove e a porsi domande inedite”» (Esort. ap. postsin. Christus vivit, 65)».

«Una teologia dell’accoglienza che, come metodo interpretativo della realtà, adotta il discernimento e il dialogo sincero necessita di teologi che sappiano lavorare insieme e in forma interdisciplinare, superando l’individualismo nel lavoro intellettuale. Abbiamo bisogno di teologi – uomini e donne, presbiteri, laici e religiosi – che, in un profondo radicamento storico ed ecclesiale e, al tempo stesso, aperti alle inesauribili novità dello Spirito, sappiano sfuggire alle logiche autoreferenziali, competitive e, di fatto, accecanti che spesso esistono anche nelle nostre istituzioni accademiche. In questo cammino continuo di uscita da sé e di incontro con l’altro, è importante che i teologi siano uomini e donne di compassione, toccati dalla vita oppressa di molti, dalle schiavitù di oggi, dalle piaghe sociali, dalle violenze, dalle guerre e dalle enormi ingiustizie subite da tanti poveri che vivono sulle sponde di questo “mare comune”. Senza comunione e senza compassione, costantemente alimentate dalla preghiera, la teologia non solo perde l’anima, ma perde l’intelligenza e la capacità di interpretare cristianamente la realtà. Senza compassione, attinta dal Cuore di Cristo, i teologi rischiano di essere inghiottiti nella condizione del privilegio di chi si colloca prudentemente fuori dal mondo e non condivide nulla di rischioso con la maggioranza dell’umanità (...)». 

«La teologia dopo Veritatis gaudium è una teologia in rete e, nel contesto del Mediterraneo, in solidarietà con tutti i “naufraghi” della storia. Nel compito teologico che ci attende ricordiamo San Paolo e il cammino del cristianesimo delle origini che collega l’oriente con l’occidente. Qui, molto vicino a dove Paolo sbarcò, non si può non ricordare che i viaggi dell’Apostolo furono segnati da evidenti criticità, come nel naufragio al centro del Mediterraneo (At 27,9ss). Naufragio che fa pensare a quello di Giona. Paolo non fugge, e può anzi pensare che Roma sia la sua Ninive. Può pensare di correggere l’atteggiamento disfattista di Giona riscattando la sua fuga. Ora che il cristianesimo occidentale ha imparato da molti errori e criticità del passato, può ritornare alle sue fonti sperando di poter testimoniare la Buona Notizia ai popoli dell’oriente e dell’occidente, del nord e del sud. La teologia ― tenendo la mente e il cuore fissi sul «Dio misericordioso e pietoso» (cfr Gn 4,2) ― può aiutare la Chiesa e la società civile a riprendere la strada in compagnia di tanti naufraghi, incoraggiando le popolazioni del Mediterraneo a rifiutare ogni tentazione di riconquista e di chiusura identitaria (...)». 

«Qual è dunque il compito della teologia dopo Veritatis gaudium nel contesto del Mediterraneo? Essa deve sintonizzarsi con lo Spirito di Gesù Risorto, con la sua libertà di andare per il mondo e raggiungere le periferie, anche quelle del pensiero.
Ai teologi spetta il compito di favorire sempre nuovamente l’incontro delle culture con le fonti della Rivelazione e della Tradizione. Le antiche architetture del pensiero, le grandi sintesi teologiche del passato sono miniere di sapienza teologica, ma esse non si possono applicare meccanicamente alle questioni attuali. Si tratta di farne tesoro per cercare nuove vie. Grazie a Dio, le fonti prime della teologia, cioè la Parola di Dio e lo Spirito Santo, sono inesauribili e sempre feconde; perciò si può e si deve lavorare nella direzione di una “Pentecoste teologica”, che permetta alle donne e agli uomini del nostro tempo di ascoltare “nella propria lingua” una riflessione cristiana che risponda alla loro ricerca di senso e di vita piena. Perché ciò avvenga sono indispensabili alcuni presupposti. Innanzitutto, occorre partire dal Vangelo della misericordia, dall’annuncio fatto da Gesù stesso e dai contesti originari dell’evangelizzazione. La teologia nasce in mezzo agli esseri umani concreti, incontrati con lo sguardo e il cuore di Dio, che va in cerca di loro con amore misericordioso. Anche fare teologia è un atto di misericordia. Vorrei ripetere qui, da questa città dove non ci sono solo episodi di violenza, ma che conserva tante tradizioni e tanti esempi di santità ― oltre a un capolavoro di Caravaggio sulle opere di misericordia e la testimonianza del santo medico Giuseppe Moscati ― vorrei ripetere quanto ho scritto alla Facoltà di Teologia dell’Università Cattolica Argentina: «Anche i buoni teologi, come i buoni pastori, odorano di popolo e di strada e, con la loro riflessione, versano olio e vino sulle ferite degli uomini. La teologia sia espressione di una Chiesa che è “ospedale da campo”, che vive la sua missione di salvezza e di guarigione nel mondo! La misericordia non è solo un atteggiamento pastorale, ma è la sostanza stessa del Vangelo di Gesù. Vi incoraggio a studiare come, nelle varie discipline ― la dogmatica, la morale, la spiritualità, il diritto e così via ― possa riflettersi la centralità della misericordia. Senza misericordia, la nostra teologia, il nostro diritto, la nostra pastorale, corrono il rischio di franare nella meschinità burocratica o nella ideologia, che di sua natura vuole addomesticare il mistero».


«​Questo posto bellissimo, sede della Facoltà teologica dedicata a San Luigi, di cui oggi ricorre la festa, sia simbolo di una bellezza da condividere, aperta a tutti. Sogno Facoltà teologiche dove si viva la convivialità delle differenze, dove pratichi una teologia del dialogo e dell’accoglienza; dove si sperimenti il modello del poliedro del sapere teologico in luogo di una sfera statica e disincarnata. Dove la ricerca teologica sia in grado di promuovere un impegnativo ma avvincente processo di inculturazione. Conclusione Per riassumere e concludere: i criteri del Proemio della Costituzione Apostolica Veritatis gaudium sono criteri evangelici. Il kerigma, il dialogo, il discernere, la collaborazione, la rete sono tutti elementi e criteri che traducono il modo con cui il Vangelo è stato vissuto e annunciato da Gesù e con cui può essere anche oggi trasmesso dai suoi discepoli. La teologia dopo Veritatis gaudium è una teologia kerygmatica, una teologia del discernimento, della misericordia e dell’accoglienza, che si pone in dialogo con la società, le culture e le religioni per la costruzione della convivenza pacifica di persone e popoli. Il Mediterraneo è matrice storica, geografica e culturale dell’accoglienza kerygmatica praticata con il dialogo e con la misericordia. Di questa ricerca teologica Napoli è esempio e laboratorio speciale».

Il Papa ha terminato l'intervento a Napoli intorno alle 12.30 e, diversamente da quanto previsto, rientrerà subito a Roma. Lo riferisce il direttore della Sala Stampa della Santa Sede, Alessandro Gisotti. «Il Santo Padre Francesco è stato felice di poter partecipare al Convegno su 'Teologia dopo Veritatis Gaudium nel contesto del Mediterraneò, promosso dalla Sezione San Luigi della Facoltà Teologica dell'Italia meridionale. Concluso il convegno, che era la finalità della visita a Napoli, il Papa non si intrattiene per il pranzo, ma fa ritorno a Roma», dice il portavoce vaticano.

Prima di lasciare la facoltà il Papa ha incontrato un gruppo di docenti dell'istituto di formazione, retto dai padri gesuiti, ed alcuni sacerdoti della diocesi di Napoli, che quest'anno festeggiano il 20mo ed il 30mo anniversario di ordinazione sacerdotale.

«Quando ci rivedremo? Presto, presto». Così Papa Francesco, all'uscita dalla sezione San Luigi della Pontificia Facoltà Teologica dell'Italia Meridionale, ha risposto a chi gli chiedeva quando tornerà a Napoli. Alle 12.50 Francesco è entrato nell'auto che lo porterà al Parco Virgiliano dove decollerà a bordo di un elicottero per fare ritorno in Vaticano.

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